L’elegante Peter Pan non vola alto sull’isola dei sogni

Manuel Frattini protagonista di un allestimento ben curato, con la supervisione di Brachetti, ma lontano dalle radici della fiaba di Barrie. Musiche di Bennato

Sono passati poco più di cento anni da quando Sir James Matthew Barrie consegnò alle stampe l’incantevole novella L’uccellino bianco seguita a ruota dalla pièce Peter Pan o il ragazzo che non voleva crescere e dal racconto Peter Pan nei giardini di Kensington. Una saga, quella del fanciullo che si rifiuta di diventare adulto sprofondando insieme a quei bizzarri compagni d’avventura denominati «bimbi smarriti» nella fantastica Isola-che-non-c’è (dove eternamente combatteranno contro la ciurma del terribile Capitan Uncino per salvaguardare la purezza di Giglio Tigrato, l’illibata figlioletta del capo tribù dei pellirosse che abitano quel luogo incantato) che continua a mietere milioni di lettori. Diventata un classico l’odissea di Peter Pan ha dato persino il nome anche a una sindrome su cui ancor oggi si attardano psicanalisti di chiara come di dubbia fama. Il che non ha fortunatamente nuociuto all’immensa popolarità della favola divenuta negli anni sinonimo di quel fascino a correre un’avventura ai limiti della realtà e della sicurezza borghese che già Jules Verne aveva adombrato nei suoi celebri romanzi.
Che dire adesso dell’ultimo adattamento, in chiave di musical comedy, felicemente approdato sulle nostre scene? Per sgombrare il campo dagli equivoci, chiariamo che l’allestimento italiano ha ben poco a che fare col meraviglioso antecedente anglosassone a suo tempo utilizzato da Mary Martin a Broadway quando la diva, nel ’54, lo esumò nella regia (e coreografia) di Jerome Robbins. Ma poco importerebbe se, in cambio, la lettura offertaci brillasse di mirabili colpi d’ala. Il che non accade nonostante l’alto professionismo della troupe, le belle luci di taglio e la raffinata cornice scenica che contribuiscono a farne un collaudato prodotto di consumo pre e postnatalizio. Come mai allora l’allestimento curato con maestria da Maurizio Colombi sotto la supervisione del mago del trasformismo Arturo Brachetti e con le musiche di Edoardo Bennato non ci ha convinto fino in fondo? Per l’incongruenza del libretto. E della distribuzione dei ruoli canonici. Che finisce per penalizzare soprattutto il bravissimo Manuel Frattini, protagonista che è tale soltanto sulla carta divorato com’è dai caratteri di complemento (tra i quali citiamo con simpatia l’estro irriverente di Riccardo Peroni accanto alla verve dell’Uncino di Claudio Castrogiovanni).

Mentre il nuovo finale, con tutti i bimbi sperduti che scelgono l’ovattata protezione della famiglia Darling al posto del regno fantastico di Peter, lasciato solo a vegetare ai margini dell’apologo, non solo tradisce ma finisce per immiserire la carica eversiva del fiabesco mondo di Barrie.

PETER PAN IL MUSICAL Regia di Maurizio Colombi, con Manuel Frattini. Milano, Teatro Arcimboldi fino al 7 gennaio. Poi a Bologna, dal 9 al 14.

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