Il tempo, si sa, non è galantuomo. Vent’anni dopo, la lezione di Mani pulite è svanita. Le mazzette viaggiano come prima e più di prima. Ce l’aveva già detto l’ex procuratore Francesco Saverio Borrelli, lo conferma, in un’intervista al Corriere della sera, Piercamillo Davigo che del pool, in una visione un po’ fumettistica, era considerato il teorico. «Girano più tangenti oggi di allora - assicura Davigo - Mani pulite poteva essere una svolta, invece è stata tentata una restaurazione».
Ce ne eravamo già accorti: gli scandali, vedi Finmeccanica, si susseguono senza soluzione di continuità e sul tronco malandato della politica crescono le muffe della corruzione, dello scambio obliquo di favori, del clientelismo peggiore. Lo sapevamo e Davigo, tagliente oggi come nel 1992, riassume: «La Seconda repubblica è semplicemente figlia della prima». Senza nostalgie, ma anche senza illusioni. Quel pasticcio sporco che è il finanziamento dei partiti lo dimostra: le riforme di facciata hanno partorito un mostro che ha divorato buona parte della credibilità della nomenclatura.
Per carità: dal 1992 l’impunità della classe dirigente, l’immunità dei colletti bianchi, è finita. La rivoluzione è andata in soffitta, il manipulitismo è rimasto. Con i suoi pregi innegabili - perché nessuno è collocato al disopra della legge - e con i suoi difetti, perché certe procure, con addosso la frustrazione della seconda fila, hanno innestato il turbo e vanno alla caccia di indagati eccellenti e reati da copertina, con risultati a volte grotteschi. Sono mancate le riforme e anzi Davigo elenca le leggi, volute dal centrodestra come dal centrosinistra, che hanno messo la museruola alla magistratura. Tutto vero, come è vero che il partito dei giudici ha spesso stoppato le leggi di cui la giustizia aveva bisogno. I magistrati - anzitutto i pm - si concepiscono per metà come contropotere e per metà come corporazione. Nel primo caso giocano d’attacco, nel secondo difendono. Il risultato è la paralisi.
Quelle che sono andate avanti, nello stallo generale, sono invece la carriere dei componenti del pool: gli «Intoccabili», come erano stati ribattezzati prendendo a prestito l’iconografia di un film celeberrimo. Era inevitabile, è successo: le biografie sono state aggiornate. Antonio Di Pietro, il protagonista più chiassoso, ha fondato un partito compiendo una spregiudicata ma legittima operazione di capitalizzazione del consenso rastrellato negli anni di Tangentopoli. Gerardo D’Ambrosio, classe 1930, non è andato in pensione; anzi, pure lui ha seguito il sentiero della politica, seppure in modo più appartato, e oggi è senatore del Pd. Insomma, dopo aver messo in riga la classe dirigente l’uomo simbolo di Mani pulite e il coordinatore del pool sono stati risucchiati dal Palazzo. Per Davigo chi arbitra, ovvero il giudice, non deve mescolarsi con i calciatori. E allora come si giustifica la scelta degli ex colleghi? «D’Ambrosio e Di Pietro - è la risposta assolutoria - non sono più magistrati e non hanno più tale vincolo». Anche Borrelli ha avuto altre soddisfazioni: alla guida della procura è seguita la promozione a procuratore generale; poi dopo aver vagheggiato una chiamata da parte del presidente Oscar Luigi Scalfaro che però non è mai arrivata, è stato collocato a riposo. Ma è stato richiamato per guidare un’istituzione prestigiosa come il Conservatorio di Milano che lui, diplomato in pianoforte e melomane, ha accolto con gioia. Gherardo Colombo ha lasciato la magistratura e si è reinventato, come gli altri, un seconda vita: è diventato, lui che era un intellettuale, prima vicepresidente e poi presidente di un’ editrice blasonata come la Garzanti Libri. Davigo, infine, che era forse con Borrelli il magistrato più magistrato del pool, indossa ancora la toga, in Cassazione. Insomma, se il Paese è andato indietro, loro non sono rimasti impantanati.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.