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«L’eroe Santoro? Usa la politica solo per far soldi»

Lui non è riuscito ad accompagnare alla porta Santoro, Lei sì. Lui se ne è andato dalla bagarre della Rai e ora è molto più rilassato, Lei si trova nel mezzo della più grande guerra mai vista a viale Mazzini: la battaglia finale per indebolire la lobby di sinistra. Lui osserva il tutto dal suo nuovo ufficio ai Parioli della Consap, la società che si occupa di assicurazioni pubbliche. Sorride sornione quando scorre le agenzie di stampa, vede i cadaveri che passano e sotto i baffi ben curati pensa «adesso capiranno che non era colpa tutta mia». Mauro Masi, bastonato da tutte le parti quand’era direttore generale della Rai, soprannominato da Pansa il «Bel Cecè» per via dell’aria da damerino, ora si toglie qualche sassolino dalle scarpe.
Allora, Masi, come si trova alla Consap? Non le mancano le «bagatelle» Rai, così assurde ma elettrizzanti?
«No. Sto benissimo. Ho fatto per tutta la mia vita professionale il commis d’Etat e continuo a farlo».
Molti hanno giudicato male il suo operato come dg, ora che non c’è più, non sembra splendere il sole sopra viale Mazzini: mai si era verificato il blocco totale dei palinsesti in cda...
«Ognuno è libero di giudicare come vuole. Ma, come si dice, “il tempo è galantuomo” e, passate le polemiche, le cose fatte (e, soprattutto, quelle non fatte) emergeranno con più nettezza».
Ma passerà alla storia come «l’incapace censore».
«La verità è che ho trattato certi “intoccabili” per quello che veramente sono. Individui che utilizzano la battaglia politica per ottenere più potere e più soldi. Questo ha irritato molti signori della comunicazione e alcune mosche cocchiere che si portano dietro».
Lorenza Lei è riuscita a siglare le dimissioni del «potente» Santoro. Lui ora chiede di fare «Annozero» anche da esterno. Che ne pensa?
«Non conosco ovviamente la trattativa di quest’anno che peraltro è andata a buon fine. Lo scorso anno si trattava per un accordo che prevedeva l’utilizzo di Santoro comunque in Rai in altra veste e con un patto di non concorrenza. Si era definito un accordo quadro di durata pluriennale per 14 milioni di euro per l’acquisto di fiction e docufiction, più la buonuscita di legge per il conduttore».
Perché saltò tutto?
«Per motivi che ancora oggi non sono stati chiariti e su cui sono corsi (in Rai e fuori Rai) molti gossip. Certamente non perché io l’abbia annunciato in anticipo come ha scritto recentemente Curzio Maltese su Repubblica. La notizia fu diffusa dopo che la bozza di contratto fu esaminata dal Cda Rai (per quel tipo di accordo era obbligatorio)».
Cosa risponde a chi ha sostenuto che lei è stato mandato via perché non ha esaudito il mandato di cacciare Santoro?
«Dal mio punto di vista è una sciocchezza totale. Io ho cercato di far funzionare l’azienda da un punto di vista gestionale in un contesto difficilissimo di crisi generale e, contestualmente, di riequilibrare il pensiero unico vigente dal 1980 in Rai».
Si è pentito delle «intrusioni» telefoniche in diretta ad «Annozero»? Non pensa che ogni mossa per «frenare» Santoro lo abbia invece sempre più rafforzato?
«Pentito no. Tutte le vicende vanno valutate contestualizzandole nel clima in cui sono avvenute. Una cosa voglio dire però. E riguarda le provocazione e le offese personali (il famoso “vaffan..bicchiere“, ndr). Il rispetto della dignità del mio ruolo e della funzione mi hanno impedito di agire come avrei voluto. Anche con un franco dibattito da uomo a uomo. Ma capisco che in questo caso è difficile perché per parlare da uomo a uomo bisogna essere in due uomini...»
Addirittura! Ma non le fa un po’ invidia che la Lei è riuscita a risolvere la questione Santoro e pure in poche settimane?
«Ho proposto io la dottoressa Lei come una dei miei vice direttori generali. Ha lavorato bene e non dubito continuerà a farlo nel nuovo incarico».
Dunque, non si rimprovera nulla di quanto fatto nei suoi due anni Rai?
«Per la prima parte sono soddisfatto: i dati parlano chiaro. La Rai nei due anni e rotti della mia gestione ha non solo vinto, ma stravinto la gara degli ascolti come non accadeva dal 1999; varato un piano industriale vero che porta già nel 2011 ad un attivo di bilancio (il primo dal 2005); creato con 14 canali digitali la più importante offerta free d’Europa. Per la seconda parte non è andata come speravo ma debbo dire che la governance aziendale prevede che le proposte del dg debbano essere approvate dal Consiglio di amministrazione».
Quindi, alla fine, la responsabilità è politica: del cda nominato dai partiti.. Come si esce da questa empasse?
«Credo sia assolutamente necessario uno sforzo ampio e condiviso da parte delle istituzioni per ripensare la governance aziendale per renderla più moderna ed efficiente. Operando a monte un chiarimento di fondo se la Rai deve essere più “servizio pubblico” o più “mercato”.

Il servizio pubblico per sua natura non può che essere pluralista, mentre ora è palesemente squilibrato almeno negli approfondimenti politici. Mi sembra che sia nell’interesse di tutti (in primis di chi paga il canone) avere una Rai più equilibrata».

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