Cronache

L’eroina entrava in carcere nelle mutande

L’eroina entrava in carcere nelle mutande

(...) dentro il carcere di Marassi e riforniva alcuni detenuti, autentici «registi» dell’operazione. A sgominare la banda dell’eroina - solo di quella si trattava, bando alla miseria! - sono stati i carabinieri del reparto operativo di Genova. Che hanno effettuato indagini approfondite, appostamenti, intercettazioni, fino a passare all’azione e cogliere in flagrante i colpevoli. Ma forse un aiutino l’hanno avuto da una delle donne impegnate nell’andirivieni. La meno giovane, per non dire la più anziana: Maria Nitz, 68 anni, madre del detenuto Daniele Regosa, 34 anni, è stata sorpresa in flagrante durante una consegna. Un attimo di distrazione, un rigonfiamento sospetto sotto la gonna estiva, e, zac!, i militari hanno capito tutto. E sono passati all’azione. Il resto è di conseguenza. Nella rete sono finite, prima di tutto, le due persone già detenute a Marassi che gestivano il traffico di droga dall’esterno. Il fatto di «utilizzare» le parenti di alcuni detenuti permetteva di eludere i rigidi controlli effettuati dal personale della polizia penitenziaria in servizio alle Case Rosse.
L’indagine era scattata nell’aprile scorso, quando il pregiudicato Alessandro Antonelli, 46 anni, venne arrestato per spaccio con 75 grammi di cocaina. I militari hanno notato che, sebbene in carcere, Antonelli attraverso un cellulare contattava persone all’esterno. Hanno scoperto poi che il telefono, modificato per poter essere approvvigionato di corrente grazie a un televisore, era in uso a un altro detenuto, Cirillo Biasori, pure lui 46enne e in carcere per reati legati al traffico di droga. Una specie di catena: Biasori, utilizzando il cellulare, contattava sistematicamente all’esterno i suoi fornitori di droga, Stefano Andreulli, 31 anni, Zine El Abidine Shali, un trentunenne marocchino, e Luigino Guida, 27 anni. Gli spacciatori, grazie alla collaborazione delle congiunte di alcuni detenuti, consegnavano la droga commissionata da Biasori all’interno del carcere. Le donne nascondevano lo stupefacente (mai più di 25 grammi e sempre eroina) nella lingerie, superavano la perquisizione - come noto, non si possono denudare i visitatori - e durante i colloqui la recapitavano. È proprio il fatto di essere donne consentiva di superare i controlli con relativa tranquillità. In totale sono stati sequestrati 60 grammi di eroina, mille e 400 euro e sei telefoni cellulari. «Non abbiamo strumenti adeguati per combattere questo fenomeno: il personale è ridotto all’osso, non possiamo effettuare intercettazioni telefoniche, gli strumenti radiologici per analizzare i pacchi viveri che i familiari portano ai detenuti non distinguono la droga dal bicarbonato, la legge non ci consente di perquisire i familiari se non a fronte di una notizia di reato a loro carico»: così il direttore del carcere, Salvatore Mazzeo, spiega le ragioni per cui «con i mezzi a nostra disposizione era oggettivamente impossibile accorgersi di questo traffico di droga scoperto dai carabinieri. I colloqui si svolgono in diverse sale e sono centinaia - conclude Mazzeo -. Abbiamo personale di controllo, ma i nostri mezzi sono limitati dalla carenza di personale.

Non si possono controllare tutti contemporaneamente».

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