Cronache

L’esercito degli immigrati trasloca dai vicoli alle valli

La presenza degli stranieri è tangibile soprattutto nelle scuole superiori dove 1 studente su 4 è extracomunitario

Francesco Gambaro

Dal centro alle periferie, dai caruggi ai comuni dell'entroterra. Se quindici anni fa più del 70 per cento della popolazione migrante viveva nella città vecchia, oggi non è più così. Solo 28 stranieri su cento soggiornano nei quartieri del centro storico, da Prè alla Maddalena. Erano 37 fino a cinque anni fa. La disponibilità di maggiori opportunità lavorative e l'accesso più facile al mercato immobiliare in Valle Scrivia, Val Trebbia, Val d'Aveto (per citarne alcune), stanno modificando sensibilmente il fenomeno migratorio nella Provincia genovese. È quanto si ricava dal «Terzo rapporto sull'immigrazione a Genova», promosso dalla Provincia e dal centro studi Medì, con i contributi della Compagnia di San Paolo di Torino.
Oltre all'analisi del contesto genovese, lo studio, a cura di Maurizio Ambrosini, Andrea Torre e Luca Queirolo Palmas (fratelli Frilli editore) fornisce, per la prima volta, tutti i dati relativi alla presenza straniera nei diversi comuni della Provincia. E fioccano le curiosità. A Mezzanego, in Val d'Aveto, si registra l'incidenza maggiore di immigrati: 161 su 1600 abitanti (l'11 per cento della popolazione). Angelo Giulio Torti, assessore alle Politiche dell'immigrazione, conferma: «Vi è stato un progressivo spostamento del luogo di residenza dei migranti dal centro storico verso le zone periferiche. Il fenomeno migratorio ha una valenza sempre più marcata nell'entroterra, specialmente in Valle Scrivia, Val Trebbia e Val d'Aveto».
Attualmente la presenza immigrata a Genova incide per il 4,7 per cento sulla popolazione provinciale. Secondo i dati forniti dalla questura, alla fine del 2005, gli stranieri regolarmente soggiornanti erano 34.500. Ma il Dossier Caritas Migrantes snocciola numeri più alti: 40.718 unità nel capoluogo ligure e oltre 70 mila in tutta la Regione. La comunità più numerosa resta ancora quella ecuadoriana (32 per cento), seguita da quella albanese (12), marocchina (9), peruviana (6), rumena e cinese (3). A chiudere Ucraina, Senegal, Tunisia e Sri Lanka. Quest'ultima è molto forte nella zona di San Fruttuoso e Marassi, con punte del 40 per cento in Val Bisagno. Anche le migrazioni che provengono dall'Europa dell'Est tendono a sparpagliarsi sul territorio: Sampierdarena, Cornigliano, Sestri ponente, Campasso. Marocchini e tunisini sono una realtà tangibile a Cornigliano (219 residenti) e Sestri (90).
Come tangibile è la crescita degli studenti immigrati che frequentano le scuole genovesi e liguri di ogni grado. Per dire: la nostra Regione esprime un tasso d'incidenza degli alunni di origine immigrata sul totale della popolazione scolastica superiore alla media nazionale: 6,3 per cento contro 4,2. Il dato è ancora più evidente se si limita all'istruzione secondaria superiore (4,4 contro 2,3). «La situazione ligure è fortemente condizionata dalla peculiarità dei flussi migratori - spiega Torre - A Genova, in particolare, i ricongiungimenti familiari hanno favorito l'arrivo di numerosi giovani d'origine latino americana, che sono entrati, non senza difficoltà direttamente nella scuola superiore». Ancora una volta Genova fa la parte del leone: oltre il 65 per cento dei 12.199 studenti immigrati si concentra infatti nel capoluogo ligure. A seguire, Savona, Imperia, La Spezia, che accolgono rispettivamente il 14, il 13 e il 10 per cento. Ma il dato più clamoroso è quello relativo alla comunità ecuadoriana, che costituisce il 50 per cento degli studenti stranieri presenti nelle scuole di ogni grado. «È molto difficile trovare un gruppo nazionale che da solo rappresenta la metà della comunità scolastica straniera», ammette Andrea Torre. Il boom di studenti immigrati si registra negli istituti tecnici e professionali: il 25 per cento all'istituto Ruffini nell'anno scolastico 2004/2005 è un dato che si commenta da solo. Dopo gli ecuadoriani, gli alunni stranieri maggiormente rappresentati sono quelli albanesi, (11 per cento), seguiti dai marocchini (7 per cento).

Numeri impensabili fino a dieci anni fa.

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