Politica

L’età è un’attenuante solo per i «democratici»

Poiché alla Borsa dei Valori Democratici il titolo fascismo-antifascismo ha perduto molto del suo corso a tutto vantaggio del più trendy razzismo, a sinistra hanno pensato bene di agitare il caso Almirante facendo leva sulla sua collaborazione al periodico del Ventennio «La difesa della Razza». Venendo così a creare la figura del fascista-razzista o razzista-fascista contro la quale indirizzare l'indignazione, quando non l'odio, delle forze sane della nazione. «Roba da pazzi! - s'imbizzarrisce Giorgio Bocca - Alemanno vuole dedicar una strada ad Almirante: Almirante è sempre stato un fascista, un difensore della razza, un repubblichino...». Mentre lui, lui Bocca, mai. Mai difeso la razza. Però esprimeva, sul quotidiano di Cuneo «La Provincia Granda», organo dei Fasci combattenti, concetti di questo tenore: «Sarà chiara a tutti, anche se ormai i non convinti sono pochi, la necessità ineluttabile di questa guerra, intesa come una ribellione dell'Europa ariana al tentativo ebraico di porla in stato di schiavitù. A quale ariano, fascista o non fascista, può sorridere l'idea di dovere, in un tempo non lontano, essere schiavo degli ebrei?». Ricordo che colto in fallo, il vecchio leone del giornalismo si giustificò dicendo che era giovane. Verissimo. Erano tutti giovani (ma non ragazzini) gl'intellettuali che si entusiasmarono per le leggi razziali. E la giovinezza perdona tutto. Ma allora perché l'attenuante anagrafica viene rifiutata a Giorgio Almirante?
E perché, poi, limitarsi a ricondurre tutto il razzismo del Ventennio alle pagine di «Difesa della razza» di Danilo Interlandi e quindi al solo, o quasi, Almirante? E «Roma fascista», il settimanale dove gli universitari capitolini presero a spaccare il capello del razzismo in quattro, cercando una formula che definisse quello autarchico, italiano? Collaborarono a «Roma fascista» fior di democratici (dopo) e antifascisti (dopo) quali Giuliano Vassalli, Enzo Forcella, Carlo Lizzani, Milena Milani, Giaime Pintor, Eugenio Scalfari. «Gli imperi moderni quali noi li concepiamo e quale noi siamo - scriveva il fondatore della Repubblica - sono basati sul cardine “razza”, escludendo pertanto l'estensione della cittadinanza da parte dello stato-nucleo alle altre genti». Il tema della razza entusiasmò a tal punto la meglio gioventù fascista da investire anche quella che faceva capo a «Primato» di Bottai (e qui, elencare i nomi dei collaboratori ritrovatisi da un giorno all'altro democratici e «de sinistra» occuperebbe l'intera pagina) e «Critica fascista».
Al cartaceo dibattito (tema: Razza, impero e mito sociale) si accodarono cervelli del calibro di Giulio Carlo Argan, Vasco Pratolini, Carlo Cassola e Felice Chilanti, per il quale «i lavoratori seguiranno il regime nella politica razziale e della razza e ne saranno i più intransigenti e i più accaniti difensori. Nei figli vorranno che la razza sia sempre più pura». Si potrebbe continuare ricordando la dotta disamina giuridica di Alessandro Galante Garrone - coscienza critica della Repubblica - sui requisiti per essere dichiarato di razza ebraica. O la bella recensione di Guido Piovene («Gli ebrei possono essere solo nemici e sopraffattori della nazione che li ospita») a «Contra Judeos» di Danilo Interlandi. O le riflessioni di Aldo Moro, nella fattispecie: «La razza è l'elemento biologico che, creando particolari affinità, condiziona l'individuazione del settore particolare dell'esperienza sociale, che è il primo elemento discriminativo della particolarità dello stato». Acqua passata, chi dice niente. Ma o passa per tutti o non passa per nessuno. La «vigilanza antifascista» trovi dunque qualcos'altro per demonizzare Giorgio Almirante e con lui Alemanno e con questi Berlusconi.

Oppure lasci perdere, che con quella collezione, per dirla con Paolo Mieli, di «piccoli o grandi atti di compromissione» che si ritrova, ha tutto da guadagnare.

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