L’eterna guerra (in punta di penna) tra artisti e cronisti

In un saggio tre secoli di attacchi, ripicche e scambi di cortesie tra "colleghi" di carta. Continua il dibattito sul rapporto tra letteratura e giornalismo: come mai oggi si è perso l'amore per la "terza pagina"?

L’eterna guerra (in punta di penna) tra artisti e cronisti

Essendo il citazionismo uno dei tanti mali (non fra i più gravi) del giornalismo, e trattando qui proprio dei rapporti fra giornalismo e letteratura, per non smentirci ne diamo volentieri due fulminanti esempi: «Se la stampa non ci fosse, bisognerebbe non inventarla»; «Io rido, eppure, sento come è triste/ nascere sognatore e invecchiare giornalista». La prima frase si deve a una firma davvero da prima pagina, Honoré de Balzac (da Monographie de la presse parisienne), i due versi, invece, appartengono a Delphine de Girardin (dalla commedia L’École des journalistes).

Siamo dunque nella Francia degli anni Quaranta dell’Ottocento, ma qualcuno può negare che parlar male della stampa o ricamare sulle disillusioni di chi ha scelto questa professione siano temi estranei all’attuale panorama italiano? La domanda è ovviamente retorica, come emerge, oltre che da qualsiasi discussione informale fra giornalisti, anche dal saggio Letteratura e giornalismo di Clotilde Bertoni (Carocci, nelle librerie fra pochi giorni) che mette sotto scacco, con un attacco «a tenaglia», l’una e l’altra sfera, entrambe chiamate a lavorare con il più sfuggente e pericoloso degli strumenti: la parola. La simmetricità dei due mondi che da sempre (cioè dalla nascita delle prime gazzette settecentesche) si compenetrano, s’attorcigliano, s’avviluppano come serpenti in lotta, risulta, nell’impianto espositivo, un dato di fatto incontrovertibile, pur mantenendo l’ovvio sbilanciamento a favore della scrittura per così dire «nobile», la quale, della sua «parente povera», o esalta fino all’eroismo la purezza ideale del protagonista di turno, o ne sbeffeggia fino alla condanna senza appello il cinismo, non di rado presentato come criminale tout court.

Simmetrica è anche, in un’ipotetica rappresentazione grafica, la curva che illustra il «dare» e l’«avere» dei due ambiti. Se fino ai primi anni Settanta del Novecento è il giornalismo a pedalare in salita, inseguendo la letteratura armato di bloc notes curando la forma più del contenuto e l’ambiente più della notizia, una volta scollinato il «picco» (o, per altri versi, la «crisi») del cosiddetto new journalism, è la cronaca ad andare in discesa, diventando il soggetto prediletto per molta (anche troppa) letteratura. All’inversione di tendenza che porta, per esempio, da Defoe, Dickens e Buzzati ad Amis, Lagioia e Perrone non sono estranei certi meccanismi ormai consolidati del marketing editoriale, quali la multimedialità (dal resoconto - per lo più di fatti di «nera» - giornalistico al libro e dal libro al film o alla fiction tv...), la serialità, le sinergie amicali da un recensore all’altro.
Oggi tocca alla letteratura intingere la penna nell’inchiostro dei giornali, magari giustificandosi con la voglia e il bisogno di un neo-neo-neo realismo. Anche se delitti e castighi non possono più contare su inviati del tipo di Dostoevskij e Vanity Fair non ha più nulla a che fare con Thackeray.

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