L’Europa unita pensa davvero in grande Tanto paga Pantalone

Caro Dott. Granzotto, sul New York Times di oggi leggo un articolo che conferma quanto sto sostenendo da quando la cosiddetta «Europa unita» è sorta. Soffermandosi sulle titubanze verificatesi in occasione dei due ultimi importanti eventi verificatisi in questa ampia regione del mondo (eruzione dell’impronunciabile vulcano islandese e ruzzolone finanziario greco), il quotidiano newyorchese titola «As Greek drama plays out, where is Europe?» per poi porsi la stessa domanda che (senza assillo, per la verità, ma con cocciuta curiosità simile a quella di Don Abbondio per Carneade...) io mi sto ponendo dal 1° Dicembre 2009, ossia da quando ci fu l’elezione del Presidente del Consiglio Europeo: «il nuovo leader europeo, Herman Van Rompuy, è stato largamente invisibile nei suoi sforzi di coordinamento dei leader nazionali». Lei che ne pensa?
Camogli (Ge)

L’Europa, già, l’Europa... mi faccia fare mente locale, caro Fassone. Quella faccenda tutto un rigore e tutto un Maastricht, tutto un parametro e tutto un Inno alla Gioia? Intende l’Europa del birignao Valori-Princìpi-Diritti, del «noi spezzeremo le reni agli Stati Uniti» e l’euro le spezzerà al dollaro, i conti in ordine e guai a chi sgarra, l’angolo di curvatura delle zucchine, il ruolo internazionale di superpotenza? Quell’Europa cantata dal rapsodo Romano Prodi sulla cetra della turgida e magniloquente retorica? Bè, se è quella non se ne vede e in verità non se n’è mai veduta traccia alcuna. Tutta aria frittissima, era. Come blocco, come «potenza», non esiste. Rigore e conti in ordine, una tragedia greca. Unità d’intenti, lasciamo perdere: ciascuno fa per sé andando per la sua strada e chi s’è visto s’è visto. Eppure, il baraccone di Bruxelles seguita come se niente fosse a giocare all’europeismo spinto, fornendosi addirittura d’un capintesta, di un facsimile di primo ministro eurolandico oltre che, questa è davvero da ridere, di un super ministro degli Esteri. E tanto per chiarire che l’uno e l’altra son lì per gioco, per ricoprire il ruolo di belle statuine, ti sono andati a pescare due simpatiche scamorze comunitarie, quel Van Rompuy e madama la baronessa Catherine Margaret Ashton di Upholland (il cui unico merito è d’aver fatto venire il mal di fegato a Massimo D’Alema, che a quella poltrona di cartapesta ambiva come il bimbo ambisce a metter le manine su dolci e chicche, malanno di Berlicche).
Non è necessario aver fatto la scuola dell’obbligo per capire che le due nuove istituzioni comunitarie servono a un tubo. Tornano però utili rafforzare la fama di postificio di extralusso goduta dall’Ue. L’Eas (European external action service, oh yes) della baroness of Upholland sarà infatti strutturato come se la diplomazia fosse ancora quella dei tempi del Congresso di Vienna. Come se non fossero stati inventati il telefono, l’aereo, la posta elettronica e altri accrocchi che consentono il disbrigo diretto e personale delle relazioni internazionali. Pertanto, l’Eas disporrà di un fondo cassa per le spese annuali di 6 miliardi di euri e dovrà arruolare un esercito di ottomila feluche da dislocare in ogni capitale del mondo. Che al momento risultano essere 192 e di conseguenza verranno acquistate 192 residenze, non certo da edilizia popolare.

Tenga presente, caro Fassone, che già ora sono in missione all’estero più di 5 mila funzionari (con uso di ufficio) facenti capo al presidente della Commissione europea e che avrebbero benissimo potuto svolger l’attività di telefonisti che lady Ashton intende invece assegnare all’infornata dei nuovi ottomila euro diplomatici. Ma l’Europa pensa in grande. L’Europa non bada a spese. Tanto, paga Pantalone, ovvero noi contribuenti.

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