L’ex gentleman Pierferdy cafone per «visibilità»

Caro Granzotto, fra tutte le reazioni scaturite dalle volgarità di Di Pietro contro Berlusconi, particolarmente una mi ha colpito: quella dell’onorevole Pier Ferdinando Casini. Egli si dice sconfortato non per «ragioni di bon ton, che gli hanno sempre interessato poco», ma perché il comportamento dell’ex Pubblico ministero del pool Mani pulite «finirà per aiutare Berlusconi, per regalargli una sostanziosa assicurazione per la vita». Non le pare, caro Granzotto, che tutto questo confermi l’assoluta mancanza di bon ton da parte dell’ex delfino del Cavaliere? E non rivela inoltre una sostanziale meschinità d’animo? Mi piacerebbe avere il suo saggio parere.


Sì, certo, caro Vasile. Però si metta nei panni del nostro Pierferdy e mi dica lei se c’è da fargliene una colpa se perde le staffe. Dal 20 aprile scorso risulta desaparecido: scomparso da quello che si definisce il circuito massmediatico. Dal 20 aprile scorso non riesce ad arraffare una scheggia di «visibilità», una che sia una. E questo accade a un uomo che prima della catastrofe poteva contare giornalmente su almeno dieci comparsate in tivvù e trenta-quaranta virgolettati sulla stampa nazionale e locale. Oltre a un paio di ospitate televisive e altrettante interviste la settimana. Con Casini ci troviamo di fronte a un caso umano fra i più affliggenti, caro Vasile. Piombare nell’anonimato, ruzzolare dalle stelle alle stalle, se è doloroso per una velina dello show business, figuriamoci per un velino della politica. C’è da mangiarsi il fegato e quando ciò accade è facile diventare anche cafoni. Anche meschini, certo. E pensare che prima di rompere le righe il bon ton istituzionale era il tratto distintivo di Casini. Diciamoci la verità, con quel sembiante rotocalchistico e al tempo stesso curiale, nel gesto sempre misurato e a ben vedere benedicente, indossando la grisaglia d’ordinanza o quei suoi fantastici pulloverini sui toni delle copertine Adelphi, Pier Ferdinando la sua gran figura di gentiluomo di palazzo, ammodo e forbito, la faceva eccome.
Per risalire la china, per riconquistarsi quel diritto di tribuna che sacrificò sull’altare di mal riposte ambizioni (essere l’ago della bilancia. Figuriamoci. Lui), ora gli tocca fare la truppa cammellata di Veltroni, dandogli, se non una mano, almeno una voce per mettere in riga quello scavezzacollo di Tonino Di Pietro. Dopo aver gustato i piaceri della felpata, olimpica politica dei piani alti istituzionali, gli tocca dunque tornare a sporcarsi le mani frequentando l’altra politica, quella che Rino Formica icasticamente circoscrisse in una definizione che il pudore ci impedisce di riferire. Arena entro la quale si combatte sì a mani nude, altroché, ma dove è pur sempre possibile mantenere un certo aplomb, attenersi alle norme della buona educazione e compiacere quel tanto o quel poco di nobiltà riposta nell’animo.

Ma bruciandogli la terra sotto i piedi Casini ha voluto andar per le spicce. E facendo propria la lezione «a brigante brigante e mezzo», si è dipietrizzato. Vuol vedere, caro Vasile, che essendo già stato mietuto il grano, presto vedremo Pierferdy in canottiera munger le vacche?

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