Politica

L’imam spia la spesa dei fedeli «Niente cibi anti musulmani»

Extracomunitari obbligati dal capo spirituale a togliere dal carrello carne di maiale e alcolici

Franco Sala

da Lissone (Milano)

Integrazione: avanti tutta. Ognuno ha la propria ricetta, tutti hanno una soluzione in tasca per realizzare il gran progetto. Eppure i musulmani che cercano di imboccare la strada dell’integrazione sono curati, controllati, spiati. Dai propri fratelli, gli islamici più radicali che intervengono anche su questioni pratiche della vita di tutti i giorni
Qualche giorno fa, in un noto supermercato di Lissone, in provincia di Milano: una famiglia di extracomunitari riempie il carrello della spesa. Con un dettaglio che a qualcuno non sfugge: gli alimenti sono quelli dei «peccatori» occidentali. Nello spaccio alimentare, per controllare, c’è infatti l’imam della zona, il capo spirituale dei fedeli del profeta Maometto. Controlli che avvengono a sorpresa ma con regolarità. L’uomo, senza esitare, si avvicina ai connazionali. Si mostra fortemente contrariato, vede che in quel carrello ci sono prodotti che un buon musulmano neppure deve guardare. Figuriamoci acquistare. Tra i clienti dello spaccio alimentare diverse persone assistono alla scena: scrutano le mosse con discrezione, vogliono evitare che si accenda qualche polemica.
L’imam, nel dar «consigli», appare piuttosto convincente. Parla in arabo ma in ogni caso i testimoni intuiscono quanto stia succedendo. La carne di maiale non può essere consumata da un fedele osservante che prega nella moschea. La stessa cosa vale per gli alcolici, per la carne di manzo macellata senza il rispetto della tradizione musulmana.
Il capo famiglia evita discussioni, l’imam lo segue e l’uomo, assieme alla sua donna e al figlio, ripone sugli scaffali tutta la mercanzia vietata dalle leggi del Corano. Nel carrello della spesa resta ben poco.
«L’imam – interviene Arshad Sjeed, presidente della federazione pachistana in Italia – non ha il diritto di imporre la sua volontà. Certo, in ogni caso deve indicare alle persone di fede musulmana le proibizioni previste dalla nostra religione». Poi, aggiunge il capo della comunità «ognuno ha il diritto di decidere come vuole».
La famiglia islamica «pizzicata» al supermercato ha deciso di ascoltare alla lettera l’invito della guida spirituale. Probabilmente, non l’avesse fatto, avrebbe rischiato l’emarginazione e forse il marchio dell’«infedele».
«Mi impegno a verificare se questi fatti avvengono in modo organizzato – aggiunge Arshad Sjeed – perché credo che non sia questa la strada giusta per una pacifica convivenza prima tra noi di culto musulmano e poi con la collettività dove vogliamo vivere in pace. Certo, l’imam ha il dovere di predicare e di insegnare la nostra religione ma questo deve avvenire dentro le moschee e non certo nei supermercati mentre una famiglia è intenta a fare la spesa.


Diamo un’immagine distorta rispetto alla serenità con la quale vogliamo portare avanti il processo d’integrazione, osservando pienamente le leggi italiane».

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