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L’imbarazzo del Vaticano: "Fiducia in Sepe, chiarirà"

La Santa Sede non molla il cardinale indagato per corruzione e si dice solidale. Ma i toni sono cauti. Padre Lombardi: "Collaborerà nei limiti del Concordato"

L’imbarazzo del Vaticano: "Fiducia in Sepe, chiarirà"

Roma«Stima e solidarietà» al cardinale Sepe, insieme alla «fiducia» che la situazione «venga chiarita pienamente e rapidamente». Volontà di collaborazione ma anche il segnale chiaro sul fatto che tutto dovrà avvenire in un quadro di «corretti rapporti» procedurali tra Stato italiano e Stato vaticano.
A poche ore dalla pubblicazione della notizia dell’avviso di garanzia al cardinale arcivescovo di Napoli Crescenzio Sepe, nell’ambito dell’inchiesta della Procura di Perugia contro la «cricca» che vede ora indagato il porporato per corruzione, la Santa Sede aggiusta il tiro rispetto ai giorni scorsi, quando anonime «fonti autorevoli» dei sacri palazzi avevano preso le distanze dal cardinale partenopeo, ribadendo che «la responsabilità penale è personale» e che Sepe rappresenta la «vecchia gestione» alla quale ora è subentrata la nuova squadra del pontificato di Papa Ratzinger e del suo Segretario di Stato, Tarcisio Bertone. Parole che sembravano voler isolare l’ex Prefetto di Propaganda Fide, uomo chiave del Giubileo del 2000, stimato da Giovanni Paolo II.
Ieri, padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa della Santa Sede, ai microfoni di Radio Vaticana, ha rilasciato questa dichiarazione: «Anzitutto, desidero dire una parola di stima e di solidarietà per il cardinale Sepe, in questo momento difficile. Il cardinale Sepe è una persona che ha lavorato e lavora per la Chiesa e per il popolo che gli è affidato in modo intenso e generoso, e ha diritto ad essere rispettato e stimato». «Poi, naturalmente, auspichiamo tutti e abbiamo fiducia che la situazione venga chiarita pienamente e rapidamente – ha continuato Lombardi – così da eliminare ombre, sia sulla sua persona sia su istituzioni ecclesiali. Il cardinale Sepe – come ha già detto egli stesso – collaborerà ovviamente per parte sua a questo chiarimento». Infine il portavoce vaticano ha tenuto a precisare che «naturalmente bisognerà tenere anche conto degli aspetti procedurali e dei profili giurisdizionali impliciti nei corretti rapporti fra Santa Sede e Italia, che siano eventualmente connessi a questa vicenda». Anche il presidente della Cei, Angelo Bagnasco, ha fatto sentire la sua voce, telefonando al cardinal Sepe per esprimergli «la sua vicinanza affettuosa in questo particolare momento».
La nota, messa a punto nella tarda mattinata di ieri nel corso di una riunione in Segreteria di Stato, pur esprimendo la fiducia in un rapido chiarimento, non rappresenta però, a ben guardare, una difesa incondizionata del cardinale. Più d’uno, in Vaticano, ha ricordato che, nel maggio di due anni fa, quando venne indagato per irregolarità nella gestione della sanità ligure il professor Giuseppe Profiti, chiamato da Bertone e presiedere il Bambin Gesù, la Santa Sede, proprietaria dell’ospedale, scese in campo con un comunicato scritto manifestando «piena solidarietà» allo stesso Profiti, che «ha avuto modo di manifestare quotidianamente la propria dedizione e grande professionalità». Nei mesi scorsi il presidente del Bambin Gesù è stato condannato in primo grado con rito abbreviato a sei mesi con la condizionale, e nelle scorse settimane è stata resa pubblica la sentenza nella quale l’attività di Profiti è descritta in modo poco lusinghiero, ma il Vaticano continua a essere certo della totale innocenza e correttezza del presidente, apprezzandolo nel suo nuovo incarico, come è emerso appena tre giorni fa dall’intervista che L’Osservatore Romano ha messo in pagina. È evidente dalla disparità di reazione, fanno notare alcuni Oltretevere, che nel caso di Sepe i vertici della segreteria di Stato hanno deciso di essere più cauti. E pur trattandosi di un membro del collegio cardinalizio, si sono esposti meno.
La situazione, comunque, è complicata, perché quanto sta emergendo getta un’ombra sul crepuscolo del pontificato wojtyliano e sull’entourage papale di allora. Una delle ipotesi di reato della Procura riguarderebbe lo sconto fatto da Propaganda Fide al ministro Pietro Lunardi per l’acquisto di un palazzetto, in cambio di 2,5 milioni di euro per la sistemazione di un museo che non sarà mai realizzato.

Chi decise di non fare i lavori? Perché il progetto al quale avevano lavorato Sepe e l’allora direttore dei Musei Vaticani Francesco Buranelli venne accantonato e nel piano del museo furono invece alloggiati altri uffici? Come sono stati usati quei fondi stanziati dal governo italiano? La Santa Sede vuole che sia fatta chiarezza al più presto e che «si eviti di infangare un’istituzione sana qual è Propaganda Fide».

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