L’immunità parlamentare e lo strapotere delle procure

Caro Granzotto, credo che si ponga troppa fiducia su una legge elettorale che possa garantire la governabilità. Dalla costituente in poi abbiamo votato con una mezza dozzina di sistemi e il risultato è stato di avere 59 governi in sessant’anni, praticamente uno all’anno. Si va dagli 11 giorni del sesto governo Fanfani ai mille e 58 del primo Craxi e solo Silvio Berlusconi può vantare, unico, l’en plein dell’intera legislatura. Il difetto è dunque nel manico, non nella legge elettorale. Il manico si chiama Costituzione.


È così, caro Francesconi: una buona legge elettorale non può garantire da sola la governabilità, però può dare una mano. Ad esempio impedendo, con appropriati sbarramenti, la proliferazione dei partitini (attualmente ben settantadue). Ma il difetto, come lei dice, sta nel manico, in una Carta costituzionale che stempera il potere politico sottomettendolo a un sistema di pesi e contrappesi i quali finiscono col paralizzarlo. Tutto ciò perché un po’ per pura retorica, un po’ per coda di paglia e un po’ per scrupolo democratico i padri costituenti vollero impedire o comunque rendere difficile che un altro Duce si facesse strada per via costituzionale. Una Costituzione come la nostra, figlia di un clima non proprio sereno e del compromesso di due ideologie, quella liberale e quella comunista, era destinata a mostrare in fretta i segni del tempo. Metterci le mani non è reato: l’articolo 139 l’autorizza a farlo con un solo limite: non può essere oggetto di revisione la forma repubblicana. Il guaio (grosso) è che fra le poche e risicatissime riforme ce ne fu una che invece di favorirlo ha ancor più limitato il potere dell’esecutivo, consegnandolo nelle mani della Magistratura. Mi riferisco all’articolo 68, quello che concerne l’immunità parlamentare e che i costituenti - i quali conoscendo i loro polli intendevano evitare che le Procure potessero esercitare indebite ingerenze nella politica - vollero fosse piena. Totale. Ma che la riforma dell’ottobre ’93 emasculò fino a renderla burletta.
«La modifica dell’immunità parlamentare è forse l’unico risultato di Mani pulite che ancora non è stato spazzato via» ebbe a dire una delle star di quella stagione, Gerardo D’Ambrosio. C’è da rallegrarsene? Nella versione originale l’articolo 68 stabiliva che «senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun membro del Parlamento può essere sottoposto a procedimento penale», ovvero essere indagato e figuriamoci quindi intercettato mentre discorre al telefono. Abolendo quel comma la politica si consegnò mani e piedi a poche ma vispe Procure che dell’obbligatorietà dell’azione penale fanno fuoco greco per i brulotti da indirizzare contro il Palazzo. E contro quei brulotti, caro Francesconi, non c’è difesa perché in qualsiasi atto, in qualsiasi chiacchiera o fanfaronata di politico - dal presidente del Consiglio all’ultimo peone - l’ultimo dei procuratori di Santa Maria Capua a Vetere può, se vuole, riscontrare una «rilevanza penale». Basta il sospetto, perché anche se alla fine la «rilevanza» si dimostrasse inconsistente, l’azione giudiziaria è in grado di provocare, come sa bene Romano Prodi, la fine di un governo. E di un Parlamento.

Foss’anche eletto con la migliore delle migliori leggi elettorali.

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