Stefano Filippi
Se potesse, se li avesse con sé nel torrido Darfur sudanese dove si trova da mesi, Barbara Contini prenderebbe giubbotto ed elmetto e ripartirebbe per lIrak. La notizia della probabile partenza dei militari italiani da Nassirya entro un anno gliela dà il Giornale. Lex governatrice della provincia meridionale irachena non si sorprende più di tanto, ma è categorica: «Da laggiù si parte quando lo decide la comunità internazionale daccordo con le autorità irachene. Siamo in missione di pace, lItalia ha preso un impegno preciso e lo deve onorare fino alla fine».
Ha dubbi sulla serietà dellItalia?
«No, certo. Daltra parte, nellannuncio del governo non ci sono particolari novità. Gli accordi internazionali indicano il 30 giugno 2006 come data entro la quale valutare a che punto è laddestramento della guardia repubblicana e della polizia irachena compiuto dagli alleati occidentali. Se le cose procedono bene, come credo, scaduto quel termine un ridispiegamento delle forze in campo è comprensibile. Lo decideranno i tavoli istituzionali e noi andremo via quando tutti andranno via. Ma cè un aspetto che non va dimenticato».
Quale?
«Limpegno di peacekeeping non è soltanto tecnico e logistico, ma anche morale e umanitario. La popolazione non devessere abbandonata, anzi è la stessa gente dellIrak a chiedere di non restare sola a gestire questa fase. Hanno diritto al mantenimento nel tempo della sicurezza. Lasciarli dopo dieci anni di sacrifici sarebbe tradirli una seconda volta».
Ma prima o poi lItalia dovrà fare rientrare le truppe.
«Se laddestramento non richiede più la presenza di militari, bene: sostituiamoli a poco a poco con personale civile, per esempio con ingegneri. Richiamare i soldati non significa chiudere il capitolo Irak. Quando ero governatrice, eravamo venti civili contro 3.500 uomini in divisa: daccordo con gli alleati, si può rimodulare questo rapporto. Il Paese va ricostruito e la presenza straniera è indispensabile, gli iracheni non vanno lasciati soli».
Lei dice: tornino pure i militari, purché vengano rimpiazzati da operatori senza divisa.
«Io dico: quando ci sarà una risoluzione Onu che decide un ridispiegamento, si provvederà. Comunque, i soldati non hanno avuto soltanto compiti militari, di addestramento e pattugliamento: sono stati fondamentali anche nel realizzare centinaia di progetti di aiuto, scuole, ospedali, acquedotti, fogne. Nella provincia di Nassirya sono 19 le città distrutte e le due brigate succedutesi durante la mia permanenza hanno costantemente controllato lavanzamento dei lavori. Hanno garantito la regolarità delle elezioni svolgendo unopera imponente. Senza i militari non si sarebbe fatto nulla. Nulla».
Tornerebbe laggiù?
«Di corsa. Sarebbe un onore e tutti gli italiani dovrebbero sentirsi onorati di avere soldati così. Andarsene di punto in bianco sarebbe unoffesa alla memoria di chi non cè più, ai militari e a noi civili che eravamo in Irak nei momenti più duri. Finitela, lì in Italia, con le polemiche preelettorali.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.