Camuffato da film sulla Fiat del 1980, alla vigilia della torinese «marcia dei quarantamila» impiegati, quadri e dirigenti, Signorinaeffe (come Fiat) di Wilma Labate racconta meno una contingenza che l'eterno dilemma femminile: andare dove porta il cuore o dove porta l'interesse. Un'impiegata (Valeria Solarino) laureanda in matematica, di famiglia siciliana e operaia, s'innamora di un operaio rivoluzionario (Filippo Timi) perché le dà l'emozione che le nega il fidanzato, ingegnere e moderato (Fabrizio Gifuni). Ma l'emozione va, la posizione resta: e quella solo l'ingegnere può offrirle. Storia di amplessi che di presse, Signorinaeffe offre allo spettatore senza ricordi offre solo frammenti di tg d'allora: in uno di essi Giuliano Ferrara, allora segretario del Pci torinese, fa largo a Enrico Berlinguer davanti ai cancelli della Fiat. Il dramma sociale è il coro del dramma della gelosia, i cui particolari non finiscono in cronaca perché tutti si fanno male, ma nessuno troppo.
Signorinaeffe non evoca chi alla Fiat lavorava, ma chi alla Fiat s'innamorava. Ironia in meno, il suo archetipo è Romanzo popolare di Mario Monicelli (1975). Così Signorinaeffe bada alle psicologie e confina le sociologie nelle didascalie; l'unico momento rozzo è quello scopertamente politico, con l'alternanza fra le immagini del concilio dei retrivi, presente l'ingegnere, e le immagini delle corna che la fidanzata gli sta facendo, come se fosse colpa del tradito di esser tale.
SIGNORINAEFFE di Wilma Labate (Italia, 2007), con Valeria Solarino, Filippo Timi. 91 minuti
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