Pineta in fiamme, piromani e gravi carenze antincendio. Avvisi di garanzia in arrivo, dalla Procura di Roma, nellambito dellinchiesta sullennesimo attentato a Castelfusano, il parco pubblico divenuto Riserva Statale nel 96. Dodici anni in cui sono andati in fumo oltre 500 ettari di bosco. Tanto che la Dda, la Direzione distrettuale antimafia, da tempo avrebbe ipotizzato un disegno criminoso studiato a tavolino per distruggere lintera area a ridosso della Tenuta presidenziale. Interessi? A sette zeri, soprattutto sugli appalti per la bonifica e la ricostruzione. Un solo dato: dopo il disastro scoppiato il 4 luglio del 2000, tra Regione, Provincia e Comune sono stati spesi circa 20 milioni di euro. Ma i mezzi di spegnimento, paradossalmente, sono sempre gli stessi: pochi, vecchi e malridotti. Per non parlare della rete delle bocchette antincendio di cui nemmeno in sala operativa esiste una pianta aggiornata.
A due settimane dal maxirogo che ha messo a dura prova forestale, vigili del fuoco, protezione civile, servizio giardini e gruppi di volontari, i magistrati romani cercano in tutti i modi di vederci chiaro su una serie di inefficienze da parte dellente cui è affidata la «Bella Signora» finita più volte in cenere in meno di trenta giorni. A cominciare dal piano di gestione da inoltrare al ministero delle Politiche Agricole e Forestali, la cui competenza è affidata al X dipartimento (IV unità organizzativa) del Comune di Roma. Gli stessi addetti ai lavori, forestale e servizio giardini per primi, non ne sarebbero a conoscenza. I pubblici ministeri antimafia si stanno chiedendo da giorni: se presentato, quali sarebbero i suoi contenuti sui programmi di prevenzione e previsione dei rischi da incendi boschivi? Non solo. Quanto è stato fatto, finora, per potenziare i mezzi per ridurre al minimo i danni di unazione incendiaria come quella messa in atto il 26 luglio scorso? Nel dettaglio, nelle relazioni al vaglio dei magistrati, il sistema delle opere idrogeologiche, quelle silvocolturali, il rimboschimento e la protezione attiva e passiva della riserva. Insomma, cosa è cambiato dal quel maledetto 4 luglio di otto anni fa quando una serie di inneschi piazzati ad arte ha distrutto un quinto del patrimonio boschivo di Ostia? Poco o nulla stando a quello che raccontano gli uomini che lottano quotidianamente non solamente con i piromani, ma con la mancanza totale di materiali. Cè chi è costretto a elemosinare un copertone usato da un gommista amico pur di mettere in moto unautobotte bloccata con una ruota a terra. Lappalto per la manutenzione dei mezzi, del resto, se lo sarebbe aggiudicato una ditta che, ironia della sorte, chiude per ferie proprio nel mese in cui mai dovrebbe chiudere e cioè agosto, il periodo più «caldo» per gli incendi boschivi.
Ancora: la cura delle fantomatiche bocchette rosse da utilizzare con gli idranti una volta terminata l'acqua nelle cisterne. Affidata allAcea, i ripetuti fax inviati dalla Protezione civile per conoscerne lo stato e la mappatura a tuttoggi sono senza risposta. E del loro potenziamento non si fa parola.
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