L’inquisitore «un tanto al chilo» che colleziona errori e gaffe

«Incidenti di percorso sono quasi inevitabili anche per chi non sbaglia (e prima o poi sbagliamo tutti)». Firmato - con la penna rossa - dal professor Marco Travaglio in un insolito afflato di umiltà. Era il 2008 e il giornalista era stato condannato in primo grado a 8 mesi di reclusione (pena sospesa) per aver diffamato Cesare Previti. La colpa? Aver riportato delle dichiarazioni del colonnello Riccio sulla presenza dell’ex ministro a un «incontro scellerato» in odore di mafia. Omettendo però che lo stesso Riccio aggiungeva che «Previti era lì per altri motivi e non partecipò». Poco conta, Travaglio annunciava l’appello. E ricordava che «prima o poi sbagliamo tutti».
Già, il problema è la comprensione a senso unico. Se errano gli altri, sono diabolici. Se erra lui, è una vittima angelicata delle circostanze. Per esempio: ad Annozero il direttore di Libero Maurizio Belpietro attribuisce erroneamente al giudice Carfì la frase «con Berlusconi ci vogliono il bastone e la carota». Travaglio sprezzante sibila un «era Crivelli». Mancava solo una nota sul diario. Altro caso: il ministro Calderoli cita il premio Nobel per l’economia Wuhan. Uno strafalcione, forse. E Travaglio lo sfotte per un intero articolo a colpi di «Vuchanan, Vuhnan, Vuhan (...) l’ignoranza dalle sue parti è gratis». Eppure lui pochi giorni fa aggiungeva una decina alla Legge Biagi. Quella sul lavoro è la legge 30, mentre Travaglio la confondeva con la «legge 40», quella sulla fecondazione assistita. Fischi, fiaschi, rischi, raschi, caschi. Ma nessuno gliel’ha menata con la febbre a 40 o la Scala 40.
D’altronde l’errore assoluto è minimo comune denominatore della lunga carriera di Travaglio. Come quando scrisse che il relatore della legge anti-immunità parlamentare era Pier Ferdinando Casini anziché Carlo Casini. Come quando - ancora ad Annozero - parlò di Alfredo Vito, esponente del centrodestra campano, in questi termini: «Ha restituito 5 miliardi di tangenti e ora è deputato del Pdl». Peccato che il Vito ministro del Pdl sia Elio e che Vito sia uscito dal Parlamento nel 2008. Come quando - con Peter Gomez - scrisse che il collaboratore di Miccichè Giuseppe Fallica fu condannato: balle, era solo un omonimo.
Non è granché fisionomista, Travaglio. Confonde la gente come una vecchia zia con l’alzheimer che mischia i nomi dei nipoti manco fossero le carte di briscola. Ma passino le topiche onomastiche. Però qualche svarione ha toccato pure i dati della sua famigerata agendina. Dopo lo stupro di Roma dello scorso capodanno, Travaglio disse che la festa «Amore 09» era organizzata dal Comune di Roma, mentre era soltanto patrocinata. Il sindaco Alemanno minacciò querele. Oppure - sempre con Gomez - scrisse che l’ex magistrato Ayala fu amnistiato per compensi illeciti, mentre fu prosciolto. E ancora i suoi dati sulle spese del Senato furono smentiti da Palazzo Madama e - soprattutto - ascrivibili non al presidente Schifani ma al suo predecessore Marini.


Senza contare la condanna (pardon, la «soccombenza», come sottolinea lui) in sede civile per un’altra diffamazione a Previti risalente al ’95, in cui fu condannato a pagare 79 milioni di lire e gli fu pignorata parte dello stipendio, quella (civile e di primo grado) per la diffamazione di Confalonieri e quella rimediata in Cassazione per aver diffamato il giudice Filippo Verde con una ricostruzione «incompleta e sostanzialmente alterata». Un tanto al chilo. Insomma, sono 5mila euro più le spese: che facciamo, lasciamo?

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