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L’integralismo spinge il Pakistan alla guerra civile

Una raffica di attacchi kamikaze, che nelle ultime settimane ha provocato oltre 160 morti, sta sconvolgendo il Pakistan. L’ondata di terrorismo integralista è una rappresaglia contro il presidente pachistano, Pervez Musharraf, che ha spazzato via il bubbone fondamentalista della moschea rossa nel cuore della capitale pachistana. Il problema è che la situazione potrebbe degenerare in «guerra civile», come ha ammonito ieri il mufti Muhammad Naim, uno dei principali esponenti religiosi integralisti del Pakistan.
Il terrorismo suicida miete vittime quasi ogni giorno e ieri il bilancio è stato di 52 morti. L’attacco più sanguinoso è avvenuto a Hub, una località della provincia del Baluchistan, ricca di gas naturale. Un kamikaze ha centrato in pieno la scorta di un gruppo di cinesi impegnati in lavori minerari. I sette agenti di scorta sono morti, ma il bilancio dell’attentato è di almeno 28 vittime, in gran parte civili. I cinesi, invece, sono riusciti a salvarsi. Dall’attacco alla moschea rossa è la prima volta che un kamikaze colpisce in Baluchistan. Gli attacchi di rappresaglia, che hanno già provocato 160 morti, si erano concentrati soprattutto nelle aree di confine con l’Afghanistan della North west frontier. Il tentativo di ammazzare i tecnici cinesi punta ad imbarazzare Musharraf, che pur essendo vicino a Washington è un grande alleato di Pechino in funzione anti indiana.
L’attacco in Baluchistan dimostra come i «talebani» pachistani stiano allargando il fronte del conflitto, con il tacito appoggio dei movimenti estremisti islamici. I leader della Muttahida Majlis-i-Amal, l’alleanza dei sei partiti religiosi pachistani, avevano minacciato, dopo l’assalto alla moschea rossa, di abbandonare il parlamento del Baluchistan in segno di protesta. Ieri il secondo attentato della giornata ha colpito, come avviene sistematicamente nell’ultima settimana, le zone tribali a nord est. All’alba un kamikaze si è fatto esplodere all’ingresso di un centro di addestramento della polizia ad Hangu, novanta chilometri a sud di Peshawar. Nove i morti, a parte l'attentatore, e non meno di 28 i feriti. Un terzo attacco kamikaze a Kohat, nella moschea del distretto militare, ha fatto 15 morti.
Molti degli aspiranti suicidi e dei filo talebani uccisi nel blitz contro la moschea rossa erano giovani provenienti dalle aree tribali. Non a caso, subito dopo la caduta del caposaldo integralista, le tribù filo talebane del Waziristan del nord, una delle regioni più delicate dell’area tribale che confina con l’Afghanistan, hanno rotto l’accordo di pace con Islamabad siglato lo scorso settembre.
Il numero due di Al Qaida, Ayman al Zawahiri, che si nasconde nella zona, aveva subito diffuso un messaggio audio su internet sostenendo che l’assalto alla moschea rossa è un «crimine che va lavato con il sangue». Lo hanno preso in parola e ieri Muhammad Naim, famoso mufti di una scuola coraniche di Karachi, la più grande del Paese, ammoniva: «Musharraf ha scelto una strada pericolosa. Penso che la situazione potrebbe esplodere e degenerare in una guerra civile a tutto campo».

Il presidente pachistano gli ha indirettamente risposto davanti ad una platea di studenti del Punjab. «La sfida che ci è stata posta deve essere affrontata con coraggio, ma non posso farlo da solo né da soli possono farlo la polizia o l'esercito: è necessario il sostegno della popolazione».

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