Sono davvero morte o ancora vive le ideologie? Considerarle scadute appare una forzatura strumentale a progetti politici nuovi. Il buio che è calato sulla politica italiana non può far credere veramente che tutti i gatti siano bigi. Se si accende la luce i colori appaiono quali sono. Quanto tempo può durare la notte che permette l'equivoco di partiti in cui cè tutto e il contrario di tutto, destra e sinistra, socialisti e liberali, moderati e progressisti, confessionali e laici?
Eccolo il problema che si pone ora soprattutto al Partito democratico di Veltroni. Come sarà possibile far convivere la Binetti, che il coraggio di affermare il proprio integralismo religioso ce lha, e lha dimostrato votando sulla fiducia contro il governo al Senato, e la Finocchiaro, che nel pensiero e negli atteggiamenti dimostra dessere coerente con lideologismo della vecchia sinistra?
Luciano Cafagna, intellettuale anchegli ex comunista, al quale va riconosciuta una rispettabile coerenza ideologica, sulla rivista di Emanuele Macaluso, Le nuove ragioni del socialismo, scrive di essere stato «sempre molto dubbioso sulla fusione a freddo dei due soggetti storici di quello che venne chiamato compromesso storico». Aggiunge, senza i riguardi che hanno altri intellettuali: «Un veltronismo-binettismo appare, come avrebbe detto il vecchio Stalin, un aborto destro-sinistro».
Sono note le obiezioni di Macaluso, che ha scritto addirittura un pamphlet su questo tema: Al capolinea. Controstoria del Partito democratico. Non cè quasi giorno che lex migliorista (amico di Amendola, Chiaromonte, Napolitano) dimentichi di sottolineare sul Riformista la sua ferma contrarietà al progetto di Veltroni, indicando ai profughi della sinistra storica comunista la strada del riformismo europeo.
Posizione similare appare quella di Gavino Angius e Valdo Spini, uno proveniente dal Pci, laltro dalla sinistra del Psi, i quali hanno affidato le loro speranze alla Costituente socialista di Boselli, prendendo coraggiosamente le distanze dal massimalismo dei Mussi, Salvi e altri rifondaroli, e allo stesso tempo dal veltronismo.
Il problema, naturalmente, tiene in agitazione gli ex democristiani-margheritini, che temono di veder annullati nel polpettone veltroniano i loro principi e la loro storia. Ce ne sono, si capisce, che aderiscono acriticamente, per motivi di sopravvivenza, ma non sono poche le perplessità e addirittura le contrarietà. Persone come Gerardo Bianco e lo stesso De Mita, che non rinunciano a difendere il loro passato e non pochi altri, per esempio lex forlaniano Enzo Carra, è difficile che accettino passivamente di annullarsi in un partito genericamente democratico.
Insomma, il Partito democratico cè, ha una leadership autoimpostasi (Veltroni-Franceschini), persino un ciambellano piuttosto intelligente (il Bettini dimessosi dal Senato, esempio raro nella politica italiana), ma è un enigma quale sia la sua cultura di fondo, la sua ideologia, la sua visione del mondo, Veltroni - questo almeno è chiaro - punta allalleanza, sullo stare insieme, per necessità, di tante diversità, ignorando programma, cultura e prospettive. La sua è una operazione politica a freddo.
Sì, la barca cè, o almeno è in preparazione, ma non si sa ancora come farà a navigare, in quali acque, quale bandiera verrà issata sul pennone. Ce ne sono troppe di bandiere nella stiva; quella senza colori e ideologie, che Veltroni pare prediligere, non cè proprio. Quando si tratterà di sceglierne una, soprattutto nei momenti cruciali, e ce ne saranno, esploderanno le contraddizioni di cui il partito è pieno. Come sta già accadendo del resto con la questione dellaborto. E come si profila sul problema della legge elettorale, e non solo.
Quando verrà il momento della chiarezza inevitabile, il veltronismo si troverà nei guai.
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