L’intervento/Le vittime sono condannate al danno e alla beffa

Sempre più frequentemente irrompono nella cronaca nazionale sconcertanti episodi di malasanità. Sino a qualche tempo addietro si sbagliava in buona fede per l’odioso errore umano che è malauguratamente insito nella professione medica quanto in tutte le altre. Oggi siamo andati oltre, siamo arrivati all’ultima frontiera della «malpractice»: la zuffa tra colleghi in sala parto, mentre qualcuno ci lascia le penne sul letto a fianco. I telegiornali sparano la roboante notizia e concludono il servizio affermando che la magistratura farà il suo corso: miserrima consolazione. Risarcimento morale ai malcapitati della sanità? No di certo, perché bruciata la notizia nessuno si ricorda più di loro.
Risarcimento materiale? Qualche volta, dopo aver sudato le proverbiali sette camicie tra farraginosità e lunghezze dei tribunali, tralasciando le banalissime considerazioni sul canis ne cavet canem. Insomma, in assenza di una quanto mai necessaria riforma legislativa, per i familiari delle vittime ospedaliere è sempre difficoltoso trovare la giustificazione di certe tragedie e per gli avvocati che li assistono, come il sottoscritto, è sempre più improbo trovare qualche parola in grado di lenire la loro sofferenza al di fuori di commi e codicilli. Come spiegare a questi signori che dopo il danno sanitario arriva la beffa successiva fatta di anni e anni di cause perché le assicurazioni non vogliono più coprire il rischio sanitario delle aziende ospedaliere? Inutile cercare giustificazioni: la verità va raccontata così com’è e oggi il rischio sanitario delle Asl è per lo più nelle mani di compagnie straniere perché non hanno ancora l’esatta consapevolezza del drammatico rapporto sinistri/premi nazionale. La sanità del Sud sta tracollando e la politica osserva impassibile, al massimo commissaria per moderare la bieca spartizione di mazzette, ma i decessi «bizzarri» continuano imperterriti oggi come ieri. Le privatizzazioni del settore equivalgono a convenzioni tra i privati e il Servizio sanitario nazionale dal risultato a dir poco nefasto, perché non si tratta di vere e proprie liberalizzazioni che migliorano il servizio perché creano concorrenza. Nessuna liberalizzazione può essere approvata, altrimenti qualche galoppino di Fini e D’Alema perde sacche di voti in meridione e lorsignori preferiscono nascondere la polvere sotto il tappeto.
Intanto i malati meridionali se possono vengono a curarsi al Nord applicando di fatto l’unico attuale federalismo italiano: quello sanitario. Facessero pure gli ospedali col sole delle Alpi o col ritratto di San Gennà purché funzionino e non paghi dazio il malato con la sua grama pellaccia. Illazioni? Può darsi, ma lo status quo è penoso e qualcosa va fatto per venire incontro alle disgrazie di migliaia di malati. Per alleviare le pene della malasanità nazionale non rimane che guardare nell’orto altrui all’insegna del mal comune mezzo gaudio.
Ecco allora che in Inghilterra in questi giorni è venuta a galla una tragica morte ospedaliera e la Bbc titola: «Aveva nel sedere uno spazzolone da cinque anni, donna muore durante la rimozione». L’oggetto in questione era quello da toilette della lunghezza di 15 centimetri conficcatosi nel fondoschiena della malcapitata a seguito di una brutta caduta durante una serata a dir poco alticcia.

Solo dopo due anni, nonostante la donna lamentasse la problematica ai medici che non le credevano, una Tac ha rivelato l’ingombrante presenza sfinteriale e nel conseguente intervento chirurgico di rimozione all’ospedale di Nottingham la disgraziata è morta dissanguata. Come vedete, cari Lettori, l’erba del vicino non è sempre più verde, ma anche la sanità europea si sta uniformando.
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