L’INTERVISTA 4 CARLO REPETTI

Carlo Repetti è oggi il direttore dello Stabile genovese, confermato per la terza volta (fino al 2015). È nato a Genova, in via Nizza, il 2 agosto del 1948. È sposato con Caterina, ha tre figli, Lorenzo, Camilla e Benedetta. Lo incontro nel suo ufficio fra testi teatrali, manifesti e un depliant che annuncia il suo ultimo libro Insolita storia di una vita normale che uscirà fra qualche settimana.
Nato in via Nizza negli anni Quaranta...
«Sono nato in casa dove sono rimasto fino a 30 anni. La mia casa dominava tutto il golfo di Genova. Vedevo i più bei tramonti del mondo».
I tuoi studi... (conosco da troppi anni Repetti per non dargli del «tu»).
«Le elementari le ho fatte alla “Diaz”, la scuola poi diventata drammaticamente famosa. Poi andai alla “Pascoli”. Studiavo poco, giocavo molto per strada, come accadeva allora, e nelle piazzette. Giocavo con le “grette” e poi al pallone».
Dovevi diventare un campione di calcio.
«Giocavo piuttosto bene. Tantoché un allenatore di allora, Carapellese, grande ala genoana, mi voleva portare a Terni. Mio padre si oppose, disse a Carapellese: “Non riesco io a farlo studiare, si figuri se lei potrà disciplinarlo. No, lo lasci stare”».
Tuo padre era un conosciuto e apprezzato medico in città.
«Sì, era nato in Cile perché mio nonno era emigrato laggiù. Poi tornarono tutti a Genova. Ancora oggi ho la casa paterna in via Nizza».
E gli studi superiori?
«Li ho fatti al Liceo D’Oria. Avevo nel banco dietro Massimo D’Alema. Ero pessimo negli studi. Ricordo anche in quinta ginnasio mi misero in collegio, dagli Emiliani, in quel terribile palazzo asburgico che domina il mare».
Ma alla laurea ci sei arrivato?
«Sì, in Lettere e Filosofia. Ma già allora avevo i primi fremiti... artistici. Nasceva il gruppo del “Caracalla”, musica, cabaret, teatro con i vecchi amici Pescetto, De Ferrari, Paternostro, Gadolla. E poi con Marco Sorrentino sostenemmo una specie di “concorso-prova” di scrittura teatrale allo Stabile. Incredibile: venni preso da Squarzina e da Chiesa nell’ufficio stampa. Fu quello il mio primo contatto con lo Stabile. Ebbi anche un regolare stipendio. Era il 1971. Rimasi per vent’anni fino alla nomina di vice-direttore. Dal 2000 sono direttore dello Stabile».
Hai avuto anche periodi di impegno politico.
«Iniziai nel 1990, iscritto al Pci, mi incontrai con Burlando, Ferrari e altri. Il 2 agosto del ’93, Burlando mi volle in Giunta a Tursi. Per tre anni fui assessore al Turismo, sport e commercio. Un’esperienza indimenticabile. Erano gli anni delle Colombiane. Mi fermai per tre anni e poi nel 1997, Pericu sindaco mi rivolle con lui per altri tre anni. Dal 2000 infatti mi occupo solo e soltanto dello Stabile».
Quanto la politica ti è servita per arrivare alla direzione dello Stabile?
«Per nulla. Solo per meriti professionali. Tuttavia la politica mi ha insegnato moltissimo. Soprattutto il rapporto con la gente, con il territorio».
Ricordi di allora?
«Il grande Rinaldo Magnani, Merlo, lo stesso Cerofolini. E quindi Burlando, Gambolato, la stessa Vincenzi. Nella seconda ondata appaiono Borzani, la Pinotti. La Giunta dal ’90 al ’93 fu una delle più qualificate per la città. Ricordo gli incontri con Renzo Piano per il porto, ricordo la sobrietà di Bemporad, la vivacità di Gustavo Gamalero, grandi collaborazioni con tutti al di là delle appartenenze».
Come direttore teatrale la tua esperienza...
«Ho vissuto due stagioni. Quella storica di Chiesa-Squarzina e quella attuale con Marco Sciaccaluga. Gli anni squarziniani furono eccezionali, il teatro sociale (con Lina Volonghi), i grandi attori, dalla Albani a De Ceresa, dai registi stranieri come Arias e Besson, ai grandi Goldoni di Squarzina con i Pagni, gli Antonutti che crescevano. Gli ultimi quindici anni offrono la Melato e la ricostituzione della Compagnia dello Stabile, sulla falsariga del passato».
Carlo Repetti se fossi ministro della Cultura, dimmi tre cose che faresti?
«Legherei i Beni culturali al turismo. Insieme potrebbero diventare un’industria importantissima. E poi darei più fondi alla cultura, come avviene nei Paesi civili».
Dimmi un luogo culturale indimenticabile...
«Direi la “Biblioteca di Melk” ed anche la “Gare d’Orsay” a Parigi».
Segui l’arte contemporanea?
«Raramente»
Cosa non ti piace del teatro di oggi?
«Quando uno spettacolo cerca di truccare il gioco, nei riguardi del pubblico. E poi la mancanza di autori nuovi».
Qual è il posto migliore dove ti vengono le idee?
«Passeggiando. O spesso nella vecchia cucina della casa di Cabella dove ho scritto il mio ultimo libro. Ti ricordo che l’anno scorso mi hanno eletto cittadino onorario di Cabella».
All’inferno ti obbligano a guardare sempre lo stesso testo teatrale. Quale?
«Probabilmente un Pirandello minore. Noiosissimo».
Di che cosa hai paura, Repetti?
«Della morte dei figli».
Il tuo errore più grande fatto finora?
«Non aver studiato con serietà nel liceo. Sento che mi mancano certe basi di storia, di filosofia...».
Cosa potrebbe salvare la cultura oggi?
«Riassestare tutto il sistema culturale italiano. E poi, più in particolare, una defiscalizzazione importante sull’intervento dei privati».
Come ti rilassi?
«Leggendo, ascoltando musica, a cena con amici».
Cosa ti piace di Marta Vincenzi sindaco?
«La passione con cui fa il suo mestiere».
Carlo Repetti dimmi una cosa che volevi e non hai avuto.
«Non esiste. O forse giocare almeno una volta in serie A. Lo avrei fatto quando Carapellese mi chiese e mio padre si oppose».
L’oggetto a cui sei più legato?
«Una penna stilografica».
A dodici anni cosa volevi fare?
«Lo scrittore. Cosa che riesco a fare oggi a 63 anni».
Se dico Italia qual è la prima cosa che ti viene in mente?
«Che è il mio Paese. Come fosse il rapporto con Cabella».
Mi dici qual è la tua «scusa preferita»?
«Se la svelo non la posso più usare. Comunque: “Ero fuori Genova”».
Sei genoano, dicono convinto. Perché?
«Credo perché vidi una partita del Genoa, da bimbo, che era un derby e il Genoa lo vinse. Mi innamorai della maglia rossoblù. Pensa, ho scritto anche un inno del Genoa. Ma nessuno me lo ha pubblicato o cantato».
Meglio Garrone o Preziosi?
«Direi due presidenti importanti. Amo Preziosi perché è il mio presidente. Garrone è un vero genovese che ha dato molto alla città».


Sei contento di vivere a Genova? Che città è?
«La città più bella del mondo. Dai tramonti che vedevo da bambino nella casa di via Nizza, alla rinascita di oggi che penso sia in corso, non c’è di meglio che vivere sotto la Lanterna».

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