Lubumbashi è la città mineraria dell'ex Zaire, capoluogo del Katanga. Dallo scorso settembre Lamine NDiaye ha lasciato il mare del suo Senegal per intraprendervi un'avventura che neppure lui avrebbe immaginato potesse giungere a un simile epilogo in così poche settimane. Il suo Tp Mazembé ha vinto la Champions League d'Africa umiliando (5 a 0) i tunisini dell'Esperance, ha disintegrato Pachuca e Internacional nei quarti e nelle semifinali del mondiale per club e oggi sfiderà l'Inter per tentare di salire sul gradino più alto dell'iride. Non male per un allenatore made in Africa, poco sponsorizzato, ma con un'aurea da cattedratico del pallone.
Da signor nessuno ad allenatore del momento come ci si sente?
«Un po' frastornato, è logico. Anche se ho un bagaglio di esperienze internazionali importanti che forse in pochi conoscono. In Francia ho allenato il Mulhouse e sono stato assistente di Bruno Metsu in quel Senegal che ai mondiali nippo-coreani ottenne risultati strabilianti».
Qual è, se esiste, il segreto del Mazembé?
«L'organizzazione in stile europeo. A Lubumbashi possiamo contare su strutture all'avanguardia, su uno staff dirigenziale preparato che lavora su progetti a medio e lungo termine. Da noi l'Africa non è improvvisazione».
E' il trionfo del Mazembé o di tutto il calcio africano?
«No, è il successo della Repubblica del Congo. Da queste parti c'è il potenziale umano migliore di tutto il continente, persino della tanto decantata Nigeria. Se si aggiunge a tutto questo la stabilità politica e un'economia che viaggia a velocità maggiore rispetto a quella di altre nazioni, il futuro non può che essere roseo».
Si rende conto che al termine del Mondiale la sua squadra verrà saccheggiata dai club europei?
«E' un rischio che vogliamo correre se questo significa vincere il torneo. Comunque è arrivato il momento di parlare con serietà dell'Africa. Non siamo più quelli che anni fa si facevano turlupinare con vetrini e collanine regalando ai conquistatori tutte le nostre risorse. Chi vuole i giocatori del Tp Mazembé li deve pagare secondo il reale valore di mercato. E poi il nostro presidente Moise Katumbi ha disponibilità economiche per trattenere i suoi campioni. Vogliamo aprire un ciclo».
Lei ha parlato di vincere il torneo. Nessun timore reverenziale nei confronti dell'Inter?
«Solo rispetto per il blasone e la storia della formazione di Benitez. Il campo stabilirà i valori. Non voglio apparire arrogante, ma ci sono possibilità per vincere la coppa. Sarebbe da stupidi non sfruttarle».
L'Africa che emerge sfida uno dei suoi re, Samuel Eto'o. E' lui il giocatore da tenere d'occhio?
«Da allenatore ho sempre lavorato sul concetto di squadra. Il solista non fa la differenza se gli altri giocatori non supportano il suo lavoro. E questo vale per l'Inter come per noi. Eto'o è il più forte attaccante al mondo, ma senza munizioni lo si può fermare».
Togliergli le munizioni significa mettere la museruola ai suoi compagni?
«No, correre più di loro. Il calcio è ormai prevalentemente forza fisica e sotto questo aspetto, mi creda, non siamo inferiori a nessun altra squadra al mondo».
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