L’INTERVISTA FEDELE CONFALONIERI

Fedele Confalonieri è il presidente di Mediaset, l'amico d'infanzia di Silvio Berlusconi ed ha il posto fisso, oltre che alla Scala, anche a San Siro quando gioca il Milan. Sabato pomeriggio ha attraversato l'afa di Milano per puntare verso gli studi di Milan-Channel ed affrontare, con una lunga intervista resa anche davanti a il Giornale, tutti i nodi dell'affare Milan e lanciare una coraggiosa campagna dal titolo «dimenticare Kakà». Fosse facile. Ha parlato al cuore dei milanisti e anche a quello degli azionisti del gruppo per la prima volta, ha scommesso su Leonardo e dato la sveglia a Ronaldinho, ha fatto luce sull'interesse arabo e sui lussi dell'Inter con un paio di battute fulminanti.
Presidente Confalonieri, tra i tifosi del Milan c'è un clima da “ultimi giorni di Pompei”: condivide?
«Io ascolto e mi ribello alla rappresentazione secondo cui la partenza di Kakà corrisponderebbe al crollo del Milan. Non è così, non è mai stato così, neanche con i più grandi fuoriclasse della storia del calcio mondiale. Con Maradona, il Barcellona non ha vinto quanto il Napoli, per esempio, e potrei proseguire. Il Milan è riuscito a sopravvivere a Van Basten, che è stato più grande di Kakà e ha giocato meno. C'è bisogno anche di gregari: con Colombo, nell’era Sacchi, abbiamo giocato il più bel calcio di sempre».
Qualche giorno fa ha tirato fuori il paragone con Amarildo e i tifosi del Milan non l'hanno presa benissimo...
«Volevo rievocare un episodio della nostra storia rossonera e sottolineare un paio di principi: il calcio è misterioso, le grandi squadre si allestiscono con la chimica delle persone oltre che col talento dei campioni. Per uscire indenne dalla discussione potrei citare il precedente del 2006: ceduto Shevchenko, il re del gol, il Milan ha vinto la Champions ad Atene ottenendo una sorta di ricompensa per l'accanimento di Istanbul. Anche la fortuna gioca il suo ruolo, nel calcio».
Questo cosa vuol dire?
«Che resta fondamentale la società. Io sono tra i 50mila passati da Milan-Cavese e conosco la storia travagliata della nostra società. Perciò penso e ripeto che finché rimarranno alla guida del club oltre che Silvio Berlusconi, anche Adriano Galliani, uno dei manager più preparati in circolazione, non ci saranno crolli né ridimensionamenti. Sa come li definisco Berlusconi e Galliani? Sono come Marx e Lenin: uno è l’ispiratore della filosofia, l’altro l’uomo che realizza la rivoluzione».
È fondato il sospetto che dopo gli striscioni di Milan-Roma ci sia stato l'inizio del disimpegno da parte del Cavaliere?
«Ero con lui ad Arcore il lunedì successivo all'affissione di quei cartelli in curva: era triste, offeso, deluso, ma Silvio è fatto in un certo modo, lo hanno capito anche quelli della politica. Più provano a buttarlo giù e più rimbalza, trova la forza per rialzarsi e ripartire. Negli ultimi mesi gli hanno rivolto contro una vergognosa campagna diffamatoria: inevitabile che risultasse distratto sul calcio e si dedicasse ad altro. Io sono un testimone attendibile della sua intatta passione per il Milan: una parte dei nostri colloqui del lunedì viene puntualmente riservata al Milan e alle sue vicende. Ho una tesi in proposito: il vero welfare è il calcio, se la squadra del cuore ha vinto, il tifoso prova un benessere unico».
Ma allora è la famiglia Berlusconi a disinteressarsi del Milan...
«Anche qui facciamo chiarezza. Io non parlo per me, andare allo stadio la domenica è come andare a messa. Le figlie di Silvio si sono sempre interessate poco, Marina non ha mai frequentato lo stadio, d'accordo, ma i figli maschi invece sì. Eppoi la famiglia è molto legata al papà. Il punto è che i conti di un bilancio devono tornare, la mammella dei diritti tv non può allattare all'infinito. Non credo che sia un caso che oltre al Milan, anche il Manchester United, gli altri diavoli, abbiano sacrificato il loro pezzo forte. A certe cifre non si può dire di no, il momento non è dei più favorevoli: Mondadori sente il morso della crisi dell'editoria, Mediolanum anche, Mediaset ottiene meno profitti. Succede anche nella televisione dove puoi schierare Bonolis o la De Filippi, ma non puoi dimenticare Ricci, uno che fa giocare le star. Occhio alla gestione, dunque, tagliando i costi in modo intelligente. Faccio un esempio: se sei alla Ferrero non tagli le spese del cacao dovendo sfornare la Nutella. Allora aggiungo: ok, ragazzi, è un momento così, facciamo qualche sacrificio ma il punto essenziale resta un altro, bisogna far condividere le scelte».
È convinto che sia stato un buon affare cedere Kakà a 70 milioni, se per Cristiano Ronaldo ne hanno pagati 93?
«Sì, se valuto quattro fattori: 1) Kakà ha voluto solo e soltanto il Real Madrid; 2) Cristiano Ronaldo è di tre anni più giovane; 3) c'era una penale da 30 milioni di sterline sulla testa del Real se non avesse concluso l'affare Ronaldo; 4) il prezzo fu negoziato un anno prima, a crisi sconosciuta».
Ci sono gli arabi alla porta di via Turati?
«E chi li ha visti! Il problema semmai è il nostro dirimpettaio, lo sceicco bianco, Moratti. Oltre a spendere, l'Inter di questi ultimi anni si è organizzata meglio, ha schierato Oriali, un manager di valore, e ha fatto scelte azzeccate».
I milanisti devono perciò rassegnarsi a vedere l'Inter vincere?
«No. E questa volta parlo ai miei colleghi del gruppo: il Milan non è un vizio e non può neanche essere visto come un modo per fare beneficenza. Il valore del marchio non è valutabile, non è una posta di bilancio, ma è enorme, in giro per il mondo riconoscono la Scala e il Milan; e non parlo di quel che i successi del Milan hanno contato per Berlusconi e le affermazioni del suo gruppo».
Condivide le scelte di Leonardo e Ronaldinho?
«Ronaldinho deve tornare quello di 3 anni fa, ha 29 anni, non è un vecchietto, bisogna forse coccolarlo e trovare un nuovo sistema di gioco per esaltarlo. Leonardo è una trovata di Berlusconi, ha voglia, a me ricorda Capello, definito da Scoglio il maggiordomo di Arcore e vedete dov'è finito Fabio. Mi parlano benissimo di Dzeko, ma c'è la Volkswagen dietro. Su Cissokho il mio amico Adriano è pronto a giurare. Vorrei si tornasse a puntare sul vivaio, ci siamo fermati ad Albertini, ora c'è Paloschi in giro. Il vituperato Farina ci lasciò nell'86 una linea difensiva unica con Tassotti, Baresi, Filippo Galli e Maldini: fu una manna per noi tutti».
Ceduto Kakà, ci saranno altri sacrifici? Pato, per esempio...
«Pato è intoccabile, può essere il nuovo Pelè, fa gol straordinari, in tutti i modi».


Cosa direbbe a un tifoso milanista che vede nero e non vuole più saperne della sua squadra?
«Io capisco certe reazioni alla partenza di Kakà, sono un eccesso di amore e Silvio Berlusconi deve corrispondere a questo amore. Ma vedrete, il Milan comprerà gente, ha fatto questo passo ma tornerà a vincere, intatta resta la sua capacità di decidere. E da domani comincerà una nuova era con questo slogan: dimenticare Kakà».

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