L’INTERVISTA MAURO LEONE

Non rilascia interviste da tempi immemorabili Mauro Leone ma stavolta fa un’eccezione causa lo choc che ha provato per il ferimento del Cav. Il figlio dell’ex presidente della Repubblica, Giovanni Leone, si sottomette alle domande in qualità di grande esperto - sulla sua pelle - di come si crea il mostro da dare in pasto alle folle. Leone jr vede affinità a non finire tra la cacciata del padre dal Quirinale nel 1978 e il tentativo in atto di fare fuori Berlusconi da Palazzo Chigi.
La faccenda lo indigna ma a quanto pare senza fretta, poiché mi lascia in attesa una decina di minuti nel salotto del suo avviato studio di avvocato a ridosso della romana piazza del Popolo. In fondo, è uno sconto sul quarto d’ora accademico cui ha diritto nella sua qualità di ordinario di materie penali nell’università di Napoli e mi dà agio di guardarmi attorno. Le pareti grondano di suoi attestati da ogni parte del globo e in diversi alfabeti dall’arabo al cirillico. Una parte rilevante è riservata alle prodezze giovanili. Spiccano, con medaglie d’oro incorporate, i diplomi - dalle elementari alla maturità classica - conquistati dall’oggi sessantaduenne nell’Istituto Nazareno dei Padri Scolopi. Completano l’addobbo, una foto del padre ai tempi del Quirinale e una della famiglia, con Donna Vittoria e i due fratelli, in compagnia di Ranieri e Grace di Monaco con le regali frugolette, Caroline, adolescente e ancora goffa, e la piccola Stéphanie.
L’indignato compare in abito scuro da principe del Foro con onorificenze all’occhiello e l’evidente eccitazione di chi sta per fare una cosa per lui inedita. Entra subito in tema Berlusconi: «Provo disgusto politico per questa accettazione dell’inaccettabile: la normalizzazione della violenza dando per di più la colpa alla vittima».
«Il Cav se l’è cercata?», domando.
«Assolutamente no. Ha espresso le sue idee. Ma solo idee. Non ha mai invitato alla violenza su qualcuno. Ho vissuto gli anni del terrorismo ma un attacco come quello di piazza del Duomo non me l’aspettavo».
«In che senso?»
«Il terrorismo era di una minoranza e il Pci assunse con la Dc il ruolo di guardiano dello Stato».
«Oggi invece?»
«Il pericolo è nel gesto criminale del cittadino qualsiasi che non è legato a gruppi eversivi, ma subisce l’influenza del qualunquismo colto-chic, nutrito di malafede. Si pone un problema nuovo: come garantire la libertà di esprimersi senza correre pericoli».
«Cosa intendi per qualunquismo in malafede?».
«Quello incarnato dal gruppo editoriale Repubblica-L’Espresso che fece le prove generali con la vicenda di mio padre. Alla task force si aggiunse Camilla Cederna, una giornalista funzionale al progetto. Furono costoro i responsabili dell’assassinio mediatico della mia famiglia».
«Oggi ci provano con il Cav?».
«Sono specialisti della calunnia organizzata. Lo hanno fatto con noi, oggi tocca a Berlusconi, domani potrebbe succedere ad altri».
«Escludi che quei giornali si battano per la verità?»
«La nostra storia personale prova che quella che cercano non è la verità ma di costruire degli avversari per dimostrare il loro potere di abbatterli. Tentativo che ora vogliono ripetere con Berlusconi».
«Sei berlusconiano?».
«Sono un dc senza partito. Mai stato forzista. Anzi, sono critico verso l’esasperazione della politica da parte di tutti gli schieramenti».
«Ti consideri un esperto di come si crea il mostro?»
«Vittima. La prima fu mio padre, poi noi figli. Ho continuato a pagare conti salati per il mio nome».
«La fabbrica della mostrificazione è la sinistra?».
«Non più. Come ti ho detto, il motore è il qualunquismo mediatico che potrebbe portare anche la sinistra solida - Bersani e D’Alema per intenderci - a essere invischiata».
«Già prima che con tuo padre, il Quirinale fu travolto con Antonio Segni per il presunto golpe De Lorenzo».
«Stessa matrice: il solito gruppo editoriale».
«Cederna nel suo libro, Leone - Carriera di un presidente, che ebbe gran parte nelle dimissioni di tuo padre, se la prese con tutta la famiglia».
«Le sue invenzioni ridicole provenivano dal giornalista Mino Pecorelli, dai servizi deviati e da informatori screditati».
«Ti definì “l’anima nera” che plagiava anche il padre».
«Se avessi avuto questo potere mefistofelico avrei fatto ben altra carriera. Tra me e papà c’era un rapporto fortissimo che esulava dalla politica. Era un affetto napoletano tra padre e figlio».
«Ti senti partenopeo come papà?».
«Mi onoro di sentirmi napoletano» e per dare il suggello all’asserzione chiede al segretario di portarci due caffè. Quello che arriva fumante, è napoletanissimo: fatto con la caffettiera della nonna e con lo zucchero dentro.
Cederna a parte, chi manovrò la faccenda?
«La campagna partì in modo vile nel semestre bianco. L’obiettivo era anche destabilizzare il compromesso storico. Il Pci di Berlinguer fu raggirato».
Il Pci vittima?
«La campagna partì dal solito gruppo editoriale che, già allora come oggi, voleva dimostrare di essere una forza autonoma dai partiti e dallo stesso Pci».
Con quale tecnica siete stati messi in cattiva luce?
«Con la montatura del caso Lockheed, maldicenze familiari, addebiti inesistenti di evasione fiscale, accuse di amicizie ingombranti. Ci andarono di mezzo le mie fidanzate che, nonostante fossero assolutamente perbene, furono maltrattate. Il solito armamentario gossiparo che somiglia tanto a quanto accade oggi con Berlusconi».
Appena siete usciti dal Quirinale, tutto cessò.
«Nel Palazzo sì, tanto che poi ebbi incarichi importanti. Quello che però non si calcola è che le calunnie ebbero presa sulla gente».
Con quali conseguenze?
«Fummo minacciati come malandrini e sottomessi alla violenza dei cani sciolti. Noi figli dovemmo acquistare automobili blindate al posto di quelle che lo zelante ministro dell’Interno, Virginio Rognoni, ci tolse il giorno dopo la nostra uscita dal Quirinale».
Delle accuse che vi hanno rovesciato addosso cos’è rimasto?
«Il pregiudizio popolare verso di noi durato anni. Poi è finito. Ma resta l’amaro. Perché, in Italia, si dimentica e basta. Nessuno fa autocritica per il male che ha seminato».
La Dc, il partito di tuo padre e tuo, come si comportò?
«Zaccagnini, il segretario di allora, preferì tenere saldo il rapporto con il Pci piuttosto che salvaguardare le istituzioni di cui mio padre era il massimo rappresentante».
Gli effetti sulle vostre vite?
«Sconvolgenti».
Chi vi fu vicino?
«Non ricordo particolari vicinanze politiche, con l’eccezione di Cossiga. Ricordo invece la sparizione fisica e morale di amici che erano stati beneficati. Salvo rifarsi vivi con la cerimonia di "riabilitazione" di mio padre per i suoi 90 anni».
Morale?
«Più pericoloso del terrorismo armato è quello delle parole. Questo qualunquismo strisciante e antidemocratico che oggi ha portato al ferimento di Berlusconi può causare lo sfascio del sistema».
Contro il libro di Cederna avete vinto una causa miliardaria.
«Devoluta in beneficenza. Questo non ha impedito alla Cederna, sbugiardata nel nostro caso e in quello Pinelli-Calabresi, di ricevere premi giornalistici in vita e di essere onorata anche oggi dalla città di Milano guidata dal centrodestra. È il circo mediatico».
Pannella fu tra i più accaniti contro tuo padre. Poi chiese pubblicamente scusa. Fu consolante o era tardi?
«Mio padre apprezzò il gesto. Disse che dimostrava la buonafede dei radicali. Quanto a me, resto dell’idea che anche loro furono esecutori materiali del "«regicidio"».
La sinistra accusa il Cav di denigrare le istituzioni di cui si sente paladina. Ma nel vostro caso fu proprio la sinistra ad affossare il Quirinale.
«Certa stampa e la sinistra esaltano o denigrano le istituzioni a seconda che siano o no in mano ai loro uomini. Se eletti da centrodestra, crocifissi. Se dal centrosinistra, intoccabili. Ma oggi peggio del Pd, che con Bersani mi sembra ritorni alla saldezza delle origini, sono i suoi alleati».
Per la seconda volta, a suon di pentiti, si cerca di coinvolgere il Cav nelle stragi Falcone e Borsellino e nelle bombe del '93.
«I pentiti sono in balia dell’uso capriccioso che vogliono farne gli inquirenti. Chiunque di noi può essere esposto a vendette e utilizzi impropri. Tutto nasce dall’invenzione giurisprudenziale - non legislativa e dunque illegittima - del reato di associazione mafiosa esterna. Da cattedratico e da tecnico chiedo perciò al legislatore di intervenire su un’aberrante norma incostituzionale».


Un consiglio al Cav da vaccinato alle carognate di Palazzo.
«Mai commettere l’errore di mio padre che si dimise. Perché poi la storia ti bolla ingiustamente come colpevole».
La lezione su quanto ci siamo detti?
«In Italia è pericoloso fare politica. Oggi più di prima».

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