Pino Insegno, lei ha seguito Lazio-Inter?
«Sì, ma non sono andato allo stadio. E ho spiegato a mio figlio che ero combattuto: vincere e regalare lo scudetto alla Roma o gioire per la sconfitta che dava il tricolore allInter? Probabilmente avrei tifato contro, perciò ho deciso di guardarmela in tv a casa».
Un intero stadio tutto a favore degli ospiti difficilmente si era visto in passato...
«Questa situazione va letta nel contesto dellevento. Mi ha divertito molto la sintesi espressa negli striscioni della curva, come scansamose. A livello folkloristico è stato un bello spettacolo».
Ma si può tifare contro la propria squadra per sfavorirne unaltra, anche se questa è lodiata Roma?
«I tifosi sono stanchi di unannata difficile, gestita in maniera complicata. Posso arrivare a concepire anche questo, in città si respira unevidente anti-lazialità. Ma faccio un esempio: se ho una macchina e mi chiede un passaggio chi mi ha sempre bistrattato, secondo lei posso darglielo?».
Insomma per lei è stato un atteggiamento giusto.
«Preciso che non posso giustificare questatteggiamento, io sono uno sportivo e vivo così il mio tifo. Dico solo era intonato a tutta la cornice della serata. Le tifoserie di Lazio e Inter sono gemellate, tra gli ultrà oggi cè un contatto più intenso di una volta, sono quasi una lobby. E poi qualche anno fa portammo via uno scudetto ai nerazzurri, stavolta le cose sono andate diversamente. È stata una vittoria della tifoseria, la rivincita morale di una tifoseria offesa».
Quindi non ci dobbiamo meravigliare di quanto è successo...
«Diciamoci la verità, sarebbe avvenuto lo stesso se una situazione del genere fosse stata vissuta dalla parte dei romanisti. Non amo perdere, ma ho analizzato i fatti di domenica senza falsi moralismi».
In tutto questo cosa pensa del comportamento della squadra in campo?
«Per i giocatori è una doppia sconfitta, sia per il risultato che per quanto non hanno mostrato sul terreno di gioco. La Lazio è entrata in campo psicologicamente già battuta e non ha fatto niente per cambiare il trend della sfida».