Sono pronto a scommettere che la percentuale dei promossi negli esami di maturità ora in corso supererà anche questanno, come avviene da molto, il novanta per cento, molto probabilmente supererà anche il novantacinque per cento. Limmane macchina organizzativa che dovrebbe consentire una valutazione seria e rigorosa della preparazione di ragazzi e ragazze a conclusione dun lungo ciclo di studi avrà così avuto lutilità che, ormai per tradizione consolidata, le può essere riconosciuta. Ossia utilità zero.
Mi rendo conto di quanto possa essere stonata, e impopolare, una tesi come questa mentre le «tracce» dei temi di italiano sottoposti agli studenti occupano paginate di quotidiani e ore di dibattito televisivo. Con ammirevole sforzo i mezzi dinformazione avvolgono duna aureola di incertezza, di drammaticità, di suspense, di tensione un rito che a me sembra tanto bolso quanto costoso. Ho scritto queste stesse cose, suppergiù, nel luglio dello scorso anno: sottolineando, allora ad esami conclusi, che in sintonia con un andazzo imperante i bocciati serano ridotti dal già esiguo cinque per cento a uno stupefacente due e mezzo per cento: e che, parallelamente, il numero dei promossi a pieni voti, i bravissimi, era cresciuto dal cinque al dieci per cento. Ne potremmo trarre radiosi auspici, in prospettiva futura, per la cultura italiana, se solo prestassimo un minimo di fede a questi attestati statistici. Sappiamo invece che la realtà è diversa.
Non intendo con questo sminuire il livello della scuola italiana che nonostante tutto, e pur nellorgia del facilismo postsessantottesco, ha i suoi meriti. Li ha perché in un mastodontico corpo insegnante esistono e resistono - senza cedere alle frustrazioni e senza ottenere i riconoscimenti che spetterebbero loro - professori capaci. Ho la convinzione che il livello degli studenti medi italiani sia superiore a quello degli studenti di molti altri Paesi, inclusi gli Stati Uniti (diverso, e complicato, è il discorso riguardante lUniversità). Non sono dunque diretti contro la scuola italiana questi miei rilievi, ma contro la sopravvivenza dun tipo desame che aveva un suo preciso senso - insieme a grandi, aspre difficoltà - se rimaneva fedele al modello originario. Magari elitario, magari duramente selettivo, ma autentico.
Non lo si voleva più? Lo si considerava classista ed elitario? Si avesse allora il coraggio di abolirlo, e di adottare altri strumenti di giudizio. È stata invece scelta, al solito, la strada più facile e più comoda per tutti. Quella di conservare allesame di maturità, teoricamente, lantica dignità dattestato solenne, riducendolo tuttavia in sostanza a un diplomificio bonario, ispirato alla massima del todos caballeros. Una semplificazione cè stata, adesso solo i presidenti delle commissioni sono «esterni» allistituto in cui la prova si svolge. Il vantaggio economico è evidente, per le minori diarie ai componenti le commissioni, il risultato pedagogico non è cambiato. Manca un altro passo. Decidano tutto i professori interni. So che in determinati ambienti questa amministrazione domestica dellesame può consentire ogni lassismo. Ma dubito che un estraneo catapultato da chissà dove sia in grado devitare intrallazzi, e comunque di quali intrallazzi cè bisogno se tutti sono riconosciuti come maturi?
Ciò che non si vuole abbandonare, perché fa scena, è la liturgia dellesamone atteso con trepidazione. Allo stesso modo ci si rifiuta di rinunciare al valore legale dei titoli di studio universitari, che ipocritamente ignorano le differenze - a volte abissali - tra ateneo e ateneo.
Avanzate queste riserve sullesame nel suo complesso, mi pare abbastanza irrilevante il gran parlare degli argomenti che ai ragazzi e ragazze sono stati proposti. Hanno scelto - cosa ci si aspettava daltro? - i suggerimenti più generici, ovvi, scontati. Ottimi per le chiacchiere virtuose e benintenzionate.
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