L’invito Pensino a lavorare bene e a raccontare meno bugie

Come ogni anno l'Ania (Associazione nazionale imprese assicuratrici) presenta numeri e statistiche da capogiro per i risarcimenti pagati a causa di malasanità e subito arrivano i titoloni: boom di denunce ai medici. Durante le ultime vacanze natalizie gli episodi di malpractice medica hanno fatto più morti dei talebani in Afghanistan. A questi ultimi però è concesso l'onore delle armi e dei funerali di Stato (e ci mancherebbe altro), mentre chi muore sotto i ferri crepa senza dignità. Il cadavere è da nascondere in fretta e furia sotto il tappeto perché scotta. «Arresto cardiaco», si annota in cartella clinica la più ridicola della diagnosi di morte per una sepoltura senza ulteriori accertamenti autoptici che manlevi i responsabili da eventuali responsabilità. Poi il giudice scriverà che l'attore non ha provato la causa del decesso e il medico non può essere condannato perché Tizio è morto per arresto cardiaco: la morte è solo una miserrima complicanza della vita! Trucchi del mestiere o medicina difensiva? Strategia di abbattimento del rischio? Risk management? Circonlocuzioni per ingannare malati e assicurazioni che stipulano polizze per sinistri e invece dovrebbero prevedere il rischio strage.
I parenti del de cuius non mancheranno di leggere affabili sicumere: i medici sono bravi e ogni tanto sbagliano, dobbiamo avere fiducia. O lo scritto malandrino di qualche medico che abbia l'ardire di affermare: non studiate medicina, ma giurisprudenza, perché è più conveniente fare gli avvocati e arricchirsi sulle spalle dei medici. E se invece i somari studiassero con maggior dedizione medicina visto che maneggiano la vita delle persone e parrebbe richiesta una certa dose di cautela? Se i medici invece di rimanere ancorati alla sanità pubblica o a quella convenzionata ancor più deteriore (Santa Rita docet) iniziassero a ribellarsi alle baronie di cui sono schiavi per assecondare la meritocrazia probabilmente calerebbero le denunce. Con quale ardire si racconta poi da ogni dove che gli ospedali vincono le cause? Tale affermazione non può essere smentita da me che faccio l'avvocato per i danneggiati, né parimenti potrà esserlo da un sanitario o qualche associazione di categoria che reclama il solito papocchio-osservatorio, ma c'è un termometro oggettivo. Non sono ovviamente le 82 denunce giornaliere che subisce la classe medica, né le 15.000 annuali che arrivano nei tribunali, né il contenzioso giudiziario aumentato del 200%, bensì i premi pagati alle compagnie assicurative che sono passati dai 35 milioni e 406mila del '94 ai 453 milioni del 2007 (valori espressi in euro per un aumento del 1.000%).
L'assicuratore risponde a strette logiche statistiche: tanto pago di sinistro, tanto mi paghi di premio. Balle zero: l'aumento dei premi assicurativi parla da solo. Il vero problema è che è stralegittimo sbagliare, ma non taroccare i dati o dire che non ci sono, perché l'unica risposta che il mercato ha dato è la fuga dell'assicuratore, ormai molto spesso straniero. A un colosso tedesco un broker italiano e una decina di direttori generali di Asl hanno riferito che gli ospedali vincevano quasi sempre le cause perché la giurisprudenza era favorevole. Il colosso è entrato sulle polizze e sul rischio e dopo un anno, preso atto della balla e della batosta economica, è tornato oltre il Reno a gambe levate, creando un'apposita sezione stralcio che chiudesse la partita sanitaria italiana pur di non sentirla più nominare.
La classe medica ha tutta la nostra fiducia anche quando sbaglia, ma faccia la cortesia di smetterla di annotare gli arresti cardiaci da Pulcinella. Anche perché, terminato il cabaret sanitario, inizia quello giudiziario e le penne dei giudici sono molto peggio dei bisturi. Povero assicuratore, se vogliamo che continui a risarcirci errori e complicanze, dobbiamo dargli statistica certa e non continuare a fare i piazzisti di frottole.

In questo senso è sicuramente d'aiuto il decreto del ministro Alfano sulla conciliazione in vigore dal 20 marzo scorso che prevede il procedimento di mediazione: uno strumento che permetterà forse di trasformare i tarocchi in accordi e probabilmente gli arresti cardiaci «difensivi» in conciliazioni.
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