L’Ipazia dei poveri accoltellata dal suo don Gallo

(...) Proprio lui che si è visto firmare da Marta ogni tipo di concessione a vantaggio dei centri sociali. Proprio lui che è entrato di prepotenza nell’affaire della moschea al Lagaccio (quartiere stravinto da Marco Doria e straperso dalla sindaca), nella pantomima della «città dei diritti», nella difesa degli extracomunitari e del popolo dei vicoli. Già, gli stranieri. Il Pd ora è lì che si rilegge la lista dei votanti alle primarie, spulciando ogni nome nella speranza di trovare tutti i se e i ma necessari a non ammettere che il voto ai «nuovi italiani» è da roba da rimangiarsi il prima possibile, è un boomerang assassino. Valli a far votare e guarda come questi ti ringraziano.
Quello che dà più fastidio a Marta Vincenzi (ma in genere a tutto il Pd) è proprio il fatto di capire come la sconfitta sia stata decretata da chi è stato più beneficiato da questa amministrazione. La voglia di seguire sulla strada dell’ideologia pura i don Galli, gli imam, i centrisocialisti si è rivelata l’inizio della fine.
E questo, specie a chi non sa perdere, è la cosa che proprio non va giù. Ma se Roberta Pinotti (che comunque può consolarsi perché il partito non la lascerà disoccupata) dà fondo alle ultime riserve del suo stile, Marta Vincenzi, da ieri ex tutto, perde i freni inibitori. E su twitter inizia a distruggere tutto quel che di sinistra si trova attorno. Se poi intravede la tonaca di don Gallo è finita. «Da maggio non ci sarà più un sindaco donna in nessuna grande città italiana, né di destra né di sinistra», la butta lì. Poi, quando si accorge che nella migliore delle ipotesi rischia di beccarsi un bel chissenefrega, preferisce rispolverare la storia per indossare i panni dell’eroina vittima. «Comunque a Ipazia è andata peggio - sceglie la sua controfigura nella filosofa uccisa dai cristiani -. Oggi le donne riescono a non farsi uccidere quando perdono. A proposito: chissà dove sarebbe stato Don Gallo al tempo di Ipazia?»
Dato anche dell’assassino (e persino del cristiano ortodosso) a don Gallo, Marta Vincenzi si leva poi i sassolini, anzi i macigni, con il proprio partito: «Nessuno ha digerito il Pd. Bravi tutti. Non sono riuscita ad essere discontinua sino in fondo. Speravo che il Pd mi digerisse elaborando il lutto del 2007. Non è successo. Ho provato a tenere insieme una maggioranza impossibile». E ancora: «Quando si tradisce la propria natura non si convince e la discontinuità non funziona. Il mio errore è stato questo. Ho persino cercato di nobilitare la guerra che mi hanno fatto dipingendo le primarie come utili. Dovevo dargli una mazzata subito invece di aspettare che si rassegnassero». Il suo «razzismo» di genere al contrario però finisce sempre per riemergere: «Se una donna ti fa pagare il parcheggio dell’auto in doppia fila a cui non rinunci è davvero una megera! Sono come delle lavandaie che litigano. Volgari. Se un uomo va in bicicletta e non dice niente è così carino! Le donne che scendono in piazza fanno piazzate. Se un uomo si incatenerà per Fincantieri sarà un gesto maschio ed eroico. È sgradevole vedere una donna che scende in piazza».
Almeno lei è riuscita a capire perché ha perso le primarie: gli uomini che odiano le donne non è il titolo di un romanzo, né di un film. Più semplicemente sono gli elettori del centrosinistra. Ovviamente i 25mila del 2012, perché i 35mila del 2007 erano degli illuminati sacerdoti del progresso.

In realtà, al giorno d’oggi, di frecciate ce n’è per tutti: «La cultura, mi raccomando! I nostri intellettuali, i loro giovani studenti, le firme dei giornalisti, la buona borghesia...» Tanti (anzi, tutti) nemici, poco onore.

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