L’ipocrita battaglia del fondoschiena

Abbassando un po' lo sguardo, s'impenna la passione civile. È bastato che un tizio in giuria lanciasse indignato la questione del sedere, perché la nazione ritrovasse tutto il gusto della grande battaglia ideale. Ha voglia Veltroni di definire vecchia e obsoleta la liturgia pre-autunnale di Miss Italia: dall'altra sera, da quando tutti quanti si chiedono se le natiche fanno classifica, il pensatoio collettivo non si occupa d'altro. A livello intellettuale, siamo sempre la culla dell'umanesimo. Che ad accendere la miccia sia la diabolica intuizione di autori particolarmente geniali, o davvero il serio problema di un giurato che non riesce a fare bene il suo mestiere, a questo punto importa relativamente. Il sedere è in cima all'ordine del giorno. Basta guardare televisioni e aprire giornali: è gluteo selvaggio.
Sensibilissimo al richiamo della foresta, giganteggia il manipolo delle protezioniste. È l'antica formazione, di estrazione un po' pari opportunità e un po' vetero-femminismo, che puntualmente si fa trovare pronta nella difesa della dignità femminile. Tra queste vestali, anche molti uomini in cerca di applausi. Si sostiene da queste parti: non è più tempo di considerare la donna come un calendario per camionisti. È l'antico filone che coltiva l'utopia di coniugare estetica e contenuti, cioè curve e cervello. Diciamolo pure: è la stessa corrente di pensiero che negli anni ha cercato di contaminare culturalmente il concorso, peraltro con risultati decisamente grotteschi. Alle ragazze, di volta in volta, si è chiesto di cucinare buoni piatti, di professare buoni sentimenti e di elaborare buone risposte. Per quanti tentativi si siano azzardati, per quante innovazioni si siano introdotte, lungo l'intero arco delle serate lo sguardo degli italiani non si è comunque mai spostato di molto. Noi guardiamo lì, le signore pure. Noi per contemplare, le signore per giungere ogni volta alle più rassicuranti conclusioni: va bene, avrà un gran fisico, ma resta un'idiota.
L'indignazione però monta. Chiedere di valutare tutto il pezzo in pedana, compresi i quarti posteriori, è come sparare una fucilata in chiesa. Ma come si permettono, i trogloditi? Si parla di morbosità, di voyeurismo, di volgarità. Come se la richiesta riguardasse un convento di clarisse, non una sfilata di miss. Allora, qualcosa bisognerà pur replicare. Non a difesa del voyeurismo e della volgarità, ma contro l'ipocrisia conformista. Sia detto alle ragazze di Salsomaggiore e ai genitori che ce le portano: andare lì significa farsi guardare. Anche dietro. Racconterà qualche anima bella, per rendere meno brutale l'operazione, che oggigiorno non conta solo quello. Ma è una bischerata bugiarda: guarda caso - possono mettersi il cuore in pace - neppure stavolta vincerà uno scorfano. Vincerà una bellissima, dopo che tutti quanti le avranno attentamente valutato pure il didietro. Vincerà anche se si azzuffa con il congiuntivo e spara sfondoni sulla storia etrusca. Questo, da sempre, è il rito di Miss Italia. Di qualsiasi concorso per bonazze e maggiorate. Avvilente? Deprimente? Umiliante? Per la stragrande maggioranza delle ragazze italiane e dei rispettivi genitori, sì. Infatti non si sognano nemmeno di andare a Salsomaggiore, se non per passare le acque. Ma per chi decide di partecipare, le regole del gioco sono chiare. Vuoi essere miss, devi essere miss. Vince la più miss.
La risposta è già nota: la donna non è solo carne da macello, è anche cervello. Però sarebbe ora di chiuderla, con questi piagnistei falsi e cortesi. Se una ragazza sente il bisogno estremo di farsi votare pure il cervello, esistono le sedi più appropriate. Solitamente, l'università. Molte candidate la frequentano, e sanno però come per prendere un buon voto non basti rispondere che amano viaggiare e che sognano una carriera da pierre. Con certi professori, per la verità, anche lì la scollatura aiuta. Ma non risulta decisiva. Quasi mai.
E comunque, se persino a Salsomaggiore non deve contare solo il fisico, allora la nuova Miss Italia è già eletta.

È una ragazza di cinquantasei anni. Il suo nome, Loretta Goggi. Forse non ha più le natiche a mandolino. Ma nel Paese dove tante donne si sono emancipate gonfiando il petto di silicone, lei ha saputo gonfiarlo d'orgoglio.
Cristiano Gatti

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