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L’ira degli operai: con Berlusconi noi saremmo già scesi in piazza

Assemblea alla fine del turno notturno, contestato il leader Uil Angeletti: "Non possiamo stare zitti e votare sì al protocollo, il governo ci sta rovinando"

L’ira degli operai: con Berlusconi noi saremmo già scesi in piazza

Torino - Sale alle 11,15 a bordo della sua auto con scorta dirigendosi verso lidi misteriosi il segretario Uil Luigi Angeletti lasciandosi dietro le officine di Mirafiori con la coscienza di avere fatto il suo dovere, regalare un pistolotto sulla riforma del welfare ai circa 1000 operai accorsi per ascoltarlo, praticamente la cura di un governo «rosso» che lascerà al verde le tute blu. Che ieri mattina all'uscita del primo turno dopo la solita cavalcata di otto ore a stringere bulloni e incastonare cruscotti, hanno mollato il freno a mano e si sono lasciati andare con il piede ben premuto sull'acceleratore, contro Prodi, contro «gli pseudo amici», contro tutti fino all'autocritica massima: «Una cazzata abbiamo fatto a votare ’sto governo che ce lo sta mettendo in quel posto e dovremmo pure stare zitti e votare sì al referendum. Col cavolo che lo votiamo, ha capito?», dice Marina, 38 anni, da dieci in fabbrica e una pensione che, dice «chissà quando la prenderò».

E di Marina, per la buona pace dei profeti del sindacalismo a geometria variabile e per buona pace del governo, ne escono a decine appena dopo le 13 dai cancelli di corso Tazzoli dove è appena andata in scena la toccata e fuga di Angeletti. Sono appunto trascorse due ore dall’assemblea. E muscoli e cervello sono ancora troppo caldi per le analisi politologiche da salotto di Porta a Porta. E così invece dei sonetti di Marx le tute blu sgommano a tutta velocità, e partono gran ceffoni contro Prodi, contro la sinistra, contro gli inciuci politico-sindacali. Ugo, 35 anni e già dieci di catena di montaggio e una gran voglia di parlare, ha preso parte all’assemblea. Ma prima di mandare tutti a quel paese trova il coraggio di fare una battuta: «Mi mancano solo 30 anni di lavoro».

Poi dice quello che pensano in molti, la scomoda verità per eccellenza e cioè quella di un sindacato al servizio o a libro paga del centrosinistra anche adesso che l'inquilino si chiama Prodi: «Con un altro governo saremmo già scesi in piazza. Per l’articolo 18 siamo andati a Roma in 3 milioni. E per una discussione come questa così importante per il futuro dei lavoratori bisognava fare altrettanto e invece non si è fatto nulla. I vertici di queste organizzazioni non rappresentano nessuno, sono distaccate da chi rappresentano. Con un altro governo sicuramente avrebbero chiamato tutti noi alla lotta e io lo so perché è già successo, ma evidentemente in questo momento non bisogna disturbare il manovratore visto che al governo ci sono questi pseudoamici e un bel mucchio di ex sindacalisti che evidentemente bisogna lasciare in pace. Ma ormai abbiamo capito il giochetto, tutti noi l'abbiamo capito».

Ma accanto a lui c’è chi dice di voler votare sì al referendum indetto dai sindacati: «Bisogna guardarlo nel suo insieme, non si può dare un giudizio a priori e solo su alcuni punti. E comunque è vero che ci sono stati alcuni fischi ma è normale quando arriva qualcuno dall'esterno», spiega Gennaro. Voce isolata la sua. Stella, 50 anni e da trenta in Fiat, ha la delusione dipinta su un volto sormontato da una bella e folta chioma nera: «Hanno detto un mucchio di baggianate e paradossalmente è andata bene perché pensavo peggio, credevo che si sarebbero ribellati molto di più. Diciamolo: sta finanziaria ci sta rovinando letteralmente, non abbiamo i soldi per arrivare a fine mese, aumenta tutto e con uno stipendio solo è difficile andare avanti».

Divorziata, vive da sola con il suo solo stipendio, ha una figlia che non lavora e un bambino di 1 anno e mezzo. Da qualche anno non fa più parte del sindacato perché le mancano i soldi anche per l'iscrizione: «Sono incazzata con questo governo. Scalino o scalone non cambia niente, sono sempre 40 anni di lavoro.

Io voterò no ma tanto è già tutto deciso».

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