L’Iran chiede all’Aiea di togliere i sigilli agli impianti nucleari

Ma per il capo dei negoziatori di Teheran «non c’è alcuna guerra diplomatica»

Alberto Pasolini Zanelli

da Washington

Nuove iniziative o semplicemente schermaglie di un vecchio gioco? Non è chiaro il responso delle ultime ore della crisi iraniana. Ha parlato soprattutto Teheran, mentre gli americani si sono, almeno momentaneamente, attenuti a un riserbo non proprio abituale nella loro diplomazia. Il tono iraniano è alternativamente duro e tranquillo: nessuna guerra diplomatica, ma anche nessun negoziato con il Grande Satana americano. Che per bocca del ministro della Difesa Rumsfeld ha appena ricordato che «l’opzione militare non è esclusa» per impedire che armi nucleari finiscano in mano al regime degli ayatollah.
Un progetto di legge urgente del Parlamento iraniano che prevede severe restrizioni alle importazioni dagli Stati Uniti. I rapporti commerciali diretti fra i due Paesi non sono molto sostanziosi, dal momento che Washington li ha sottoposti a restrizione fin dal 1979, l’anno della «rivoluzione islamica», della cacciata dello Scià amico da sempre dell’America, dell’instaurazione del regime teocratico e, ricordo più vivido di tutti, dell’invasione dell’ambasciata Usa a Teheran e della cattura di decine di ostaggi. Fanno eccezione i prodotti di alcune ditte Usa, dalla General Electric ai computer della Hewlett Packard, alle onnipresenti Coca Cola e Pepsi Cola.
Proclami e previsioni: a misure ostili Teheran risponderà pan per focaccia, senza lanciarsi in un’escalation ma senza cedere su quelli che definisce i suoi interessi centrali e i suoi «principii». Nel caso di minacce militari, l’Occidente si ricordi che «non avrà a che fare solamente con noi ma con centinaia di milioni di musulmani in tutto il mondo». Parole del diplomatico Mohammad Hassan Ghadiri Abyaneh «gli amici della Repubblica islamica non rimarranno indifferenti a eventuali sanzioni e creeranno non pochi disturbi ai Paesi che si schiereranno con gli americani e contro Teheran».
Sul piano concreto l’Iran continua a tradurre in pratica le misure annunciate dopo la minaccia di deferimento alle Nazioni Unite da parte dell’Aiea, anche se il capo dei negoziatori Larijani ripete che «non c’è nessuna guerra diplomatica». Agli ispettori internazionali è stata spedita ora la richiesta di «rispedire le chiavi» dell’accesso ai siti fino a ieri loro permessi e oggi non più. Altrove sono i benvenuti. Il governo di Teheran ha confermato ufficialmente all’Agenzia per l’energia atomica di voler riavviare la produzione di uranio arricchito nell’impianto di Natanz. È stata precisata la data (rinviata di qualche giorno), gli ispettori sono invitati a fare il loro dovere assistendo alla rimozione dei sigilli e delle telecamere di sorveglianza. Un’operazione già compiuta in altri impianti.
Ma il discorso più importante, e anche più seguito, riguarda le «ostilità economiche». Nell’eventualità, tutt’altro che remota, in cui il Paese sia bersaglio di qualche genere di sanzioni, il regime risponderà con rappresaglie dello stesso tipo, convinto com’è di avere in mano, almeno in questo settore, le carte più forti e che le scomodità di una crisi sarebbero quanto meno condivise. Sono tutte parole in codice per un’idea sola: il rincaro del petrolio.

Se l’Onu imporrà delle sanzioni, l’Iran risponderà molto probabilmente comminando sanzioni proprie al resto del mondo, vale a dire limitando l’esportazione di greggio in un momento in cui i mercati internazionali conoscono già prezzi straordinariamente alti. Già alla Borsa mercantile di New York il prezzo è salito del 2 per cento in un giorno, fino a 66,62 dollari al barile, un rincaro del 47 per cento rispetto a un anno fa.

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