Luciano Gulli
nostro inviato a Ramallah
«Gli Stati Uniti e l’Europa ci lesineranno gli aiuti? Pazienza. In lista d’attesa ci sono i Paesi arabi, pronti a sostenerci. Proprio oggi abbiamo avuto la promessa di 35 milioni di dollari dall’Algeria. Poi c’è l'Arabia Saudita, i Paesi del Golfo, la Siria, il Libano... ».
Anche l’Iran?
«Sì, anche l’Iran».
Peccato, perché proprio oggi l’ex presidente Usa Bill Clinton ha detto che sarebbe pronto a stringervi la mano in cambio della vostra rinuncia al terrorismo.
«Ma siamo seri. Chi è qui il terrorista? Siamo noi a essere vittime di un terrorismo di Stato. Anche se è l’ex presidente di una grande nazione, devo dire che Clinton mi sembra cieco. Sì, proprio come uno che abbia bisogno di un intervento agli occhi e di lenti molto spesse».
È piuttosto su di giri oggi Aziz Dweik, neopresidente del Parlamento palestinese uscito dalle elezioni del 25 gennaio. Cinquantotto anni, 7 figli, barba e capelli bianchi, abito blu inappuntabile, personaggio di spicco di Hamas, Dweik è docente di geografia (specializzazione in storia dei confini) all’università di Nablus. Ala moderata, dicono. Una specie di Pierferdinando Casini di Hamas. Anche se a giudicare dalle risposte non si direbbe.
Cominciamo dagli Stati Uniti. Washington ha vietato ai suoi diplomatici e alle imprese americane di avere contatti con voi. Qual è la posizione di Hamas al riguardo?
«Io credo che gli Stati Uniti non abbiano il diritto di punire nessuno che sia stato eletto direttamente dal popolo in modo trasparente. La loro decisione va contro quei valori democratici che dicono di voler promuovere in tutto il mondo. Trattasi di ipocrisia, non di democrazia».
Tre morti e 15 feriti in uno scontro fra attivisti dei Comitati di resistenza e le Forze di sicurezza dell’Anp dopo l’omicidio di Abu Quqa, che dell’ala militare dei Comitati era il capo. È accaduto venerdì a Gaza. Una battaglia fratricida. Ma non si era detto che Hamas avrebbe fermato il caos e l’anarchia?
«Dietro l’omicidio degli attivisti dell’Intifada c’è sempre Israele. È l’occupazione la fonte di tutti i mali».
Perdoni. La sparatoria è il risultato di profondi contrasti interni alla società palestinese. Che c’entra Israele?
«Volevo dire che il caos e la guerra tra fazioni trae la sua origine dall’occupazione. Vero, purtroppo, è che la resistenza non ha saputo rispondere al meglio, dando vita a un conflitto tra fratelli. Hamas, dal canto suo, sta facendo di tutto per calmare gli animi».
Scusi se insisto. Uno dei punti forti della vostra campagna elettorale riguardava le riforme e la richiesta di sicurezza che saliva dalla base. Qui invece siamo all’Ok Corral.
«Colpa di Israele, che ha trasformato Gaza in una sorta di carcere ribollente. In queste circostanze, con l’occupazione, anche un programma di riforme diventa difficile da attuare».
Ahmed Abd el Rahman, portavoce dell’Anp, ci ha ribadito l’altro ieri che Hamas deve adottare una politica che non isoli i palestinesi dal mondo.
«Ma di che parla Abd el Rahman? Cominci Israele a riconoscerci, e faccia la sua proposta sui confini. Sarà il nostro popolo, attraverso un referendum, a esprimersi sui nostri interessi nazionali e a decidere».
Il vostro irrigidimento vi sta portando all’isolamento. Senza il sostegno economico degli Stati Uniti e dell’Europa, lei sa bene che il banco dell’Autorità palestinese rischia di saltare.
«I soldi affluiti dall’esterno non sono mai arrivati, se non in piccola parte, al popolo. È anche per questo che le elezioni le abbiamo vinte noi. E comunque non siamo disposti a svendere i nostri interessi nazionali in cambio di denaro. Nessuno al mondo lo farebbe. Ma poi: Hamas ha appena preso possesso dei ministeri. E le pressioni, pressioni formidabili, sono già cominciate. O ti sottometti, dice l’Occidente, o ti prendiamo per fame. È il solito appoggio cieco e ipocrita a Israele. I Paesi arabi, Iran compreso, ci aiuteranno senza chiedere contropartite».
Dunque siamo al muro contro muro. Come finirà, secondo lei?
«L’Occidente è in crisi di popolarità fra la nostra gente. Il risentimento è molto forte, e rischia di favorire le posizioni più radicali. Sì, l’Occidente sta davvero lavorando contro i suoi interessi in quest’area. Il risultato è un odio crescente.
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