Gian Micalessin
da Teheran
Il falco sè vestito da colomba. Mahmoud Ahmadinejad, lex ardito dei pasdaran che da agosto siederà sulla poltrona di presidente, si fa largo distribuendo sorrisi e saluti tra la folla di giornalisti. Ad attenderlo sono in più di 500 assiepati nellangusta sala di Parke Shahr. Li ha voluti qui, pressati in questa succursale meridionale del Consiglio Comunale, prigionieri della sua tana di Teheran Sud, in mezzo al proprio ambiente e al proprio popolo. Lontano dai fasti dei ricchi e indifferenti quartieri settentrionali. Qui il falco ha costruito il proprio nido e la propria vittoria. Qui ieri ha raccontato il suo programma.
Lui, il signore dei nuovi mostazafin, lalfiere dei nuovi diseredati, ha il loro volto e il loro aspetto. Uno stazzonato e informe vestito grigiastro, una camicia dun bianco incerto, un volto affilato incorniciato da una rada barbetta di musulmana ordinanza. È il primo presidente senza turbante e rischia desser il più integralista. Baztab - lo spregiudicato, ma assai ben informato sito internet controllato dallex capo dei Pasdaran Mohsen Rezai - lo accusa di aver guidato, a metà degli anni 80, i manipoli di pasdaran responsabili di centinaia desecuzioni sommarie nel carcere dEvin. Lui, oggi, vuole dimostrare di non essere quel tipo duomo. La sua parola dordine dentro questa sala assediata da telecamere, macchine fotografiche e registratori arrivati da tutto il mondo è solo una: moderazione.
«In politica interna dovremmo essere capaci di mettere un freno a tutti gli estremismi - spiega il neo eletto presidente considerato il capo fila dellala più radicale in seno ai conservatori -, i principali interessi nazionali sono la pace, la giustizia, lindipendenza e la convivenza pacifica con tutti le nazioni del mondo». Il lupo insomma sembra diventato agnello. Lo ascoltano, stupefatti, i giornalisti. Lo guarda un po sorpreso da dietro il barbone e gli spessi occhiali scuri anche il suo braccio destro Mehdi Chamran.
Ma basta nominare lAmerica, basta chiedere a Ahmadinejad di quei rapporti interrotti da 27 anni con Washington e il futuro presidente ridiventa il lupacchiotto di sempre. «LIran credetemi - sibila sghignazzando - non ha proprio bisogno degli Stati Uniti. Il nostro Paese ha una politica trasparente basata sul rispetto reciproco, ma non può aprirsi a chi continua a contrapporgli sospetto e ostilità».
Laltro argomento su cui Ahmadinejad non riesce proprio a trovare una via duscita in linea con i richiami alla moderazione è il nucleare. I conservatori integralisti sono i più fermi sostenitori della necessità di procedere senza esitazioni sulla strada dellenergia atomica e lui sa di non poter fare mezzo passo indietro. Lo ha già detto e ripetuto nei giorni precedenti il ballottaggio e ieri lo conferma. «Noi proseguiremo le trattative, ma terremo sempre presenti i nostri interessi nazionali. AllEuropa chiediamo fiducia reciproca e passi concreti per dimostrarla. Nessuno può impedirci di usare lenergia atomica per scopi pacifici». La costruzione della centrale atomica di Busher e i lavori per la sua attivazione entro la fine 2006, insomma, andranno avanti in ogni caso. «La pacifica tecnologia iraniana è il risultato dei successi scientifici raggiunti dalla nostra gioventù, abbiamo un disperato bisogno di questa tecnologia per soddisfare il nostro fabbisogno energetico e garantire la ricerca medica e scientifica. Non possiamo fermarci».
Lunica concessione alla moderazione è, insomma, quellaggettivo «pacifico» costantemente appiccicato al termine energia nucleare. Interrogato sugli altri argomenti chiave di questo primo esame Ahmadinejad non va molto meglio. Quando gli si chiede di spiegare meglio le sue intenzioni nel campo dei diritti umani il neo eletto presidente disserta amabilmente di islam, libertà e aperture politiche, ma si guarda bene dal rettificare le sue posizioni.
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