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L’irriducibile / Lo giuro da anni: "Domani smetto"

Un'amica mi dice a muso duro: "Penserai mica di essere una donna libera, tu?". E il dubbio mi assale: la sigaretta? Una complice che mi toglie dagli impicci regalandomi un attimo di gusto

Non più tardi di ieri, un’amica di mia madre, incontrandomi per strada, mi ha crudelmente chiesto: «Penserai mica di essere una donna libera, tu?». Immediatamente, a dire il vero, non ho pensato che fosse crudele. Ho pensato che fosse semplicemente una rompi palle. Io ero appesa alla mia sigaretta, per strada, come le donnacce di un tempo, ero nervosissima per una roba che avrei dovuto fare di lì a poco, e non ero nemmeno messa particolarmente bene. I capelli rigirati a coda in qualche modo, i jeans... Sì insomma, ero uscita in fretta. Una versione solo appena più glamour di Noi ragazzi dello zoo di Berlino. E sono convinta del fatto che questo abbia aggravato tutto. Se non fossi stata «buttata giù» così male, come una dipendente giallognola, quella strega non mi avrebbe intercettata e il mio vizio sarebbe stato meno evidente, meno «insegna al neon». Invece è andata così. E io mi sono dovuta sorbire dieci minuti di moniti sul fumo, sui danni che provoca, sulla mollezza della mia persona. «Ma non hai un po’ di carattere, santo cielo?» ha chiesto sempre la divulgatrice salutista. «Quel poco che ho, mi serve per altro» le ho risposto a voce bassa, cercando di schiacciare il mio mozzicone con la punta delle ballerine, tra un sanpietrino e l’altro. Ma non c’è stato verso di placarla, ovviamente. Né di spegnere il mozzicone.

Ho odiato l’amica di mia madre, perché non mi capacito del fatto che ancora qualcuno, nel 2010, pensi davvero di doverti avvisare sui danni del fumo esattamente come lei non si capacita del fatto che ancora qualcuno, nel 2010, possa fumare. E l’ho odiata perché le cose che dice, le conosco a memoria. E, vigliaccamente, non le voglio sentire. Come li sa snocciolare lei, i danni del fumo, li so snocciolare anch’io. E li sanno snocciolare tutti quelli come me. Quando ci penso, mi sento le gambe morbide come muschio e il ventre pieno di biglie che rotolano. E caccio via il pensiero. Ci sono notti, a letto, quando persino io sento la puzza di nicotina sui capelli, in cui mi intimo: domani, la prima, la fumi almeno a mezzogiorno. E anche ora, mentre scrivo, penso che magari, un giorno, se dovessi perire per questa mia mancanza di carettere, qualcuno (a me molto vicino) si ricorderebbe di questo pezzo come di una beffa.

Però poi ci sono i giorni in cui ciondoli a destra e a manca come un tronco che non sa dove cadere, c’è la telefonata difficile, c’è la riunione noiosa, ci sono i nervi che non riesci a comprimere, c’è il fatto che sei contentissima, che sei tristissima, che sei arrabbiatissima... c’è che sei da sola, c’è che sei con qualcuno... Ogni tanto è vero che mi appendo alla sigaretta, ogni tanto è vero che è lei a portare in giro me. O forse sempre. E io la lascio fare. Io che cerco il controllo su tutto, che cerco di addomesticare tutto. E poi c’è quella biondina scialba, accesa per induzione, con un profumo dozzinale che mi sfotte come vuole. Dovrei cercare ghigliottine migliori sotto le quali mettere la testa. E invece mi accontento di lei. E ogni tanto, quando non so come riempire minuti elettrici che dividono me da qualcosa di più sensato, ricorro a lei. Mi faccio venire in mente lei e trovo un gusto. Trovo un gesto. Che mi toglie anche da un sacco di impicci. Che è meglio di una tasca dentro la quale affondare la mano per toglierla dall’impiccio. Che è meglio di una nostalgia dalla quale non devo farmi cogliere, che è meglio di una telefonata che sarebbe una follia fare, che è meglio di certe sciocchezze di cui, alle volte, sono capace di riempire una manciata di secondi insipidi.

Anche se lei, secondo dopo secondo, mi toglie gli anni.

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