L’Italia dei mille misteri secondo «Crispino»

Parla in pubblico, Maurizo Abbatino, «Crispino» leader storico della famigerata Banda della Magliana, collaboratore di giustizia dal ’96, da quando cioè decise, in seguito alla morte del fratello, di puntare l’indice contro i suoi ex amici, di aiutare la giustizia a fare luce su tanti episodi oscuri che sconvolsero la Roma e non solo tra gli Anni ’80 e ’90. L’altra sera è stato intervistato durante la trasmissione «Chi l’ha visto». Ha parlato dei misteri d’Italia, di Moro e di un incontro con l’ex segretario della Dc Flaminio Piccoli, della strage di Bologna, dei presunti rapporti con il Vaticano, con politici, poliziotti corrotti, servizi segreti compiacenti, cancellieri di tribunale e medici carcerari «pronti a dare una mano»; infine, anche di Calvi, omicidio per il quale è stato ascoltato dai magistrati romani e del quale è in corso il processo a Roma. Racconta un aneddoto: «Fummo arrestati da una squadra antirapina in piazza Pio XI. In macchina avevamo armi e documenti, fummo portati in commissariato. Con Franco Giuseppucci («Er negro») abbiamo chiesto del questore. Finì che fummo accusati di ricettazione». Chi era questore a quel tempo, risponde: «Claudio Pompò». Dei rapporti con la giustizia, ha ricordato gli aggiustamenti di alcuni processi e che con i proventi della droga e del controllo del gioco d’azzardo la banda pagava avvocati, corrompeva giudici («non so se millantavano») e cancellieri. « Al capo cancelliere - afferma - portavamo soldi, pellicce, cornici». Ha parlato di Michele Sindona quando era in carcere a Rebibbia, delle «pressioni dei politici e della Chiesa per farlo trasferire» e che poco dopo, quando fu mandato, in un altro penitenziario, il banchiere si suicidò. La banda aveva rapporti con il Vaticano? «Conoscevamo monsignor Casaroli (negli anni ’70 segretario di Stato del Vaticano, ndr) - spiega Crispino - i rapporti li aveva Giuseppucci, che si occupava del processo di Renato (De Pedis, ndr)». Poi il caso Moro: il contatto con Flaminio Piccoli, in viale Marconi, sul Tevere, dove c’erano lui, sempre Giuseppucci e De Pedis, per vedere «se potevamo fare qualcosa per salvare Moro e dove si trovava». E nella vicenda ha fatto il nome di Raffaele Cutolo, allora boss della nuova camorra organizzata. Della strage di Bologna, dice: «Non so molto». E a proposito del medico legale e criminologo Aldo Semerari e di Ordine Nuovo aggiunge: «Un nazifascista convinto del colpo di Stato. Era un po’ esaltato ma ci interessava per le sue perizie. Si è arrivati a un compromesso per finanziare le loro attività». Parla dei rapporti tra l’estremista di destra Carminati e Danilo Abbruciati, il componente della banda che andò a Milano per uccidere il vicepresidente del Banco Ambrosiano Roberto Rosone e che nell’agguato rimase ucciso da una guardia giurata. «Un evento strano, troppo casuale», ha tagliato corto Abbatino. Dice di avere visto una sola volta Michele Pazienza: «Dovevamo fare un omicidio all’estero», forse per uccidere Calvi. «Poi ci fu una serie di arresti e la cosa non si fece più».

E ha anche parlato della sua paura di essere ammazzato: «L’ho detto ai Pm del processo Calvi quando ho saputo che mi volevano trasferire nel carcere di Secondigliano, dove c’è un altro ex amico della Banda». «Se lì devo morire - ha concluso - preferisco uccidermi qui subito».

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