«L’Italia farà la sua parte: pronti a inviare altri soldati»

Ministro La Russa, il presidente americano Obama ha inviato in Afghanistan 17mila uomini in più e chiede agli alleati di aumentare il loro sforzo.
«Condivido quello che il vicepresidente americano Biden ha detto agli alleati: “Vi diamo di più, ci aspettiamo di più”. Nel senso che ora danno maggiore condivisione di informazioni e c’è maggiore approccio globale, quindi si aspettano di più. Tolte Italia, Gran Bretagna e Germania, gli altri potrebbero dare di più».
E noi aumenteremo il nostro impegno?
«C’è già grande apprezzamento per il nostro impegno. L’ho già detto: non escludo che quando arriveranno le elezioni presidenziali afghane potremo rafforzare la nostra presenza. Ho ricordato alla Pelosi che dai 2.200 soldati di sei mesi fa (dopo il ritiro previsto da Kabul) siamo arrivati a 2.500 e che entro un mese circa saliranno a 2.800. Quindi già stiamo facendo quello che ci chiedono. Questo non vuol dire che non si possa ancora accrescere la nostra presenza».
I bilanci della Difesa non consentono grandi spazi di manovra.
«È difficile aumentare di molto il contingente. Qualcosa in più si può fare, magari riducendo qua e là la nostra presenza in altre missioni, come nei Balcani. Oppure fare un’ulteriore sforzo... è questione di risorse».
L’Afghanistan è diventata una priorità internazionale?
«È il banco di prova per la credibilità della Nato e per la capacità di contrastare il terrorismo nel mondo».
Siamo davvero in una nuova fase come dice Obama?
«Nuovo presidente, quindi nuova fase. Questo mi fa pensare che non potremo restare insensibili a una richiesta americana. L’Italia come sempre farà la sua parte. Anche perché quella del voto afghano in agosto sarà una grande tappa per il processo di democratizzazione del Paese. Ne dovremo comunque discutere prima in Parlamento».
Serve nuova strategia, sono tutti d’accordo. Quella del generale Petreaus in Irak è stata decisiva. E in Afghanistan?
«La strategia che privilegiamo è quella dell’approccio globale, cioè mettere contemporaneamente in campo ricostruzione, sicurezza e azione militare».
Basterà per ribaltare le sorti del conflitto?
«La situazione non è così negativa. Aumentano gli attacchi dei terroristi ma a subirne le conseguenze sono soprattutto i civili. I talebani ormai giocano una carta disperata. È vero, sono più pericolosi ma è una conseguenza della nostra azione. Perché la soluzione arrivi ci vuole una reale capacità dell’Afghanistan, con il nostro aiuto, di controllare con la propria polizia e il proprio esercito il territorio».
Un aiuto che già stiamo dando.
«Reputo importante il progetto di aumentare gli Omlt, i battaglioni afghani affiancati dai nostri militari, che non solo li addestrano ma li accompagnano e li guidano in tutte le missioni. Quando Kabul avrà forze armate adeguate e riuscirà a battere la corruzione, allora avremo la possibilità di chiudere con successo la missione».
Secondo gli americani, il fattore decisivo della svolta in Irak è stato affidare a Petraeus il comando esclusivo. Oggi intendono riproporre questa ricetta. L’Italia sarebbe disposta ad affidare agli Usa la guida esclusiva della missione?
«Il comando esclusivo lo possono anche avere, ma è importante la condivisione delle informazioni, delle scelte. Una collaborazione che va migliorata. Può essere decisivo un comando accentrato ma non per questo meno condiviso».


A quali conseguenze andremmo incontro se non vincessimo la sfida afghana?
«Il problema non è se vinceremo, casomai è quando. Non interveniamo nel teatro solo per l’Afghanistan ma per lotta globale al terrorismo. Abbiamo uomini che difendono confini lontani dalla patria ma sono i confini della sicurezza e della libertà di tutta l’Europa».

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