Gian Battista Bozzo
da Roma
Il «caso pensioni» agita il sindacato. Dopo il richiamo del governatore di Bankitalia Mario Draghi a innalzare letà pensionabile, arriva il monito di una delle principali agenzie di rating, la Standard & Poors: «Linvecchiamento della popolazione italiana - si legge in un rapporto di S&P - senza una politica concertata e riforme fiscali porterà una intensa pressione sui conti pubblici e sul rating». E sulla questione, il sindacato si divide. Alla Cisl, che definisce «innegabile» il problema e propone unuscita flessibile dal lavoro a quota 95 (anni detà più contributi versati), Cgil e Uil replicano seccamente: non se ne parla neppure.
Secondo Standard & Poors, la riforma previdenziale già attuata in Italia non è sufficiente a mettere al riparo la solidità del bilancio pubblico. «In assenza di ulteriori riforme - spiega lagenzia Usa - le spese pubbliche legate alletà cresceranno nel 2050 al 24,3% del prodotto interno lordo. In questo scenario, deficit e debito pubblico potrebbero raggiungere rispettivamente il 12% e il 220% del pil, fra la metà del 2020 e il 2050. Il rating scenderebbe a BBB già nel 2030». Questa di S&P è una simulazione che tuttavia conferma limportanza della questione demografica nel nostro Paese. E che, soprattutto, ripropone il problema pensionistico, che sembrava alle spalle. Tanto che il neo ministro del Lavoro, Cesare Damiano, aveva pensato ad eliminare lo scalone (pensionamento a sessantanni, anziché a 57, con 35 di contributi) previsto dalla riforma Maroni per il 2008.
«Standard & Poors scrive sotto suggerimento, è tutto strumentale», attacca il segretario della Uil Luigi Angeletti. Cgil e Uil sono fortemente contrarie a ogni intervento ulteriore sulle pensioni, anzi favoriscono lidea di Damiano di eliminare lo scalone. «Non vedo motivi per allungare letà pensionabile, bisogna abolire lo scalone e basta così», aggiunge Angeletti, ricordando che letà media in cui la gente va in pensione in Italia si avvicina agli standard europei. Il segretario della Uil è inoltre contrario alla revisione dei coefficienti di calcolo dei trattamenti pensionistici, che pure la riforma Dini del 95 prevedeva. Ma la verifica fissata per il 2005 non si è fatta. «Il governo Berlusconi li ha lasciati così - spiega Angeletti - e se il centrosinistra ritoccasse i coefficienti al ribasso non sarebbe un bellaffare: significa abbassare gli importi delle pensioni».
Cgil e Uil dicono «no» anche alla proposta del vicesegretario generale della Cisl, Pierpaolo Baretta, di sostituire lo scalone con lintroduzione della cosiddetta «quota 95» per il pensionamento (95 rappresenta la somma fra gli anni detà e il numero di contributi versati: ad esempio 60 anni più 35 di contributi, oppure 59 più 36, 58 più 37 e così via). Per il numero due della Cisl è meglio decidere una soluzione flessibile di uscita dal lavoro piuttosto che un aumento secco delletà pensionabile, come previsto dallo scalone. «Il tema delletà pensionabile è presente nel dibattito, è inutile negarlo: una soluzione va trovata, considerando che la priorità è quella di non diminuire limporto delle pensioni», spiega Baretta.
Però Cgil e Uil non ci stanno. «I conti della previdenza sono a posto, non vogliamo nuovi sacrifici per i lavoratori», afferma il segretario confederale Morena Piccinini, che anzi apprezza lidea di Damiano di superare lo scalone. «Il governo apra un tavolo di discussione, e noi vi parteciperemo - aggiunge - ma per quanto ci riguarda dobbiamo tornare alla normativa Dini (57 anni più 35 di contributi, ndr)».
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