«Il mondo resterà sorpreso» ha giurato Jaad Zurma, presidente del Sudafrica davanti a Sepp Blatter, presidente della Fifa, prima di aprire le danze del sorteggio. Si riferiva naturalmente all’organizzazione del prossimo mondiale di calcio: gli possiamo credere, sulla parola. Nel frattempo il mondo è rimasto stregato dall’urna di Città del Capo che è stata un vero assist servito agli azzurri campioni del mondo in carica e al suo ct Marcello Lippi. È andata di lusso all’Italia, anche se solo per il girone iniziale: in sequenza Paraguay, Nuova Zelanda e Slovacchia sono rivali teneri, decisamente alla portata di Cannavaro e soci. Consentiranno di preparare il mondiale senza ricorrere a brusche accelerazioni, caricando le batterie nelle ultime settimane utili, dopo aver completato una stagione capace di stremare anche la più attrezzata delle armate.
Andiamo al sodo: basterà vincere la prima sfida (14 giugno a Città del Capo ore 20.30)per regolare i conti del raggruppamento, è un classico del mondiale. I neozelandesi (alla seconda edizione della loro storia, reduci da una qualificazione ridotta, 8 partite in tutto), appuntamento il 20 giugno a Nelspruit, ore 16, non possono fare ombra, semmai possono fare da ago della bilancia nel girone F, effe come fortuna a pensarci bene, dovessero diventare la nazionale materasso. Alla fine il numero dei gol fatti può orientare la qualificazione il destino successivo di una Nazionale. Più evidente lo spessore tignoso della Slovacchia al debutto in un torneo iridato: è stata capace di sorprendere Repubblica Ceca, Irlanda del Nord e Polonia messe in fila con uno strepitoso ruolino di marcia (7 vittorie, 1 pareggio e 2 sconfitte), lasciando in seconda fila la Slovenia. Può perciò ancora stupire se gli azzurri non dovessero giungere al terzo e decisivo (si gioca a Johannesburg alle ore 16 il 24 giugno) in buone condizioni. Proprio come capitò quattro anni prima durante la cavalcata in Germania: allora Lippi apparecchiò una partenza sprint (2 a 0 sul Ghana), rallentamento con gli Usa (1 a 1) e poi successo di slancio su Nedved (2 a 0 sulla Repubblica Ceca). Hamsik è il suo calciatore simbolo: giovane, arrembante, alimentato dalla voglia di stupire.
Dove finisce il burro, per l’Italia, comincia il torrone. Perché poi, leggendo gli incroci resi possibili dal tabellone, la Nazionale dovrà allacciarsi le cinture di sicurezza e chiamare a raccolta le migliori risorse del gruppo. Ecco la sequenza che ha già provocato i brividi lungo la schiena di Lippi: ottavi di finale probabili con Camerun o Danimarca, quindi Spagna o Brasile nei quarti, Germania o Argentina l’eventuale semifinale. C’è una sola consolazione in questo scenario: c’è la sicurezza di non incrociare mai l’Inghilterra di Fabio Capello, uno dei candidati più autorevoli al successo finale. Sarà il bigliettino da visita per reclamare e ottenere la designazione ai mondiale del 2016.
Nella storia moderna del calcio italiano, l’edizione successiva alla conquista si è conclusa con un risultato deludente. Enzo Bearzot, con l’aureola in testa, accompagnò in Messico, nell’estate dell’86, una Nazionale mista, composta per metà da reduci, per l’altra metà da giovanotti (tipo Vialli) alle prime armi. L’esito, deciso anche da un ballottaggio tra portieri non proprio esaltante (Galli-Tancredi), fu deludente. Agli ottavi, lo spietato Platini ci mise alla porta. Lippi e i suoi guerrieri possono fare meglio, solo se avranno, come a Duisburg, grandi motivazioni e una condizione fisica sorprendente. Dovremo trovare almeno due-tre fuoriclasse in qualità di santi protettori. Buffon e Pirlo, se non spolpati, sono due: manca il terzo. Lo si potrebbe trovare tra altri due reduci: Nesta e Totti, qualora dovessero finire, all’ultimo momento, sull’aereo per il Sudafrica.
Giancarlo Abete, presidente della Federcalcio, si è presentato sulla scena in punta di piedi. La coreografia prevista gli assegnava il ruolo più malinconico: la riconsegna della coppa che fino a qualche giorno fa brillava nel suo ufficio di via Allegri, a Roma. «La riconquisteremo» ha detto. Chissà se ne è davvero convinto.
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