L’Italia riscopre l’industria Pieno di profitti dall’export

Francoforte si mette in posizione d’attesa: solo dopo i dati di luglio-settembre sarà più chiara la strada da seguire

da Milano

La lente del pil mostra un’economia che arranca ma l’Italia ha un sistema imprenditoriale capace di trovare fuori dai confini nazionali il proprio traino di sviluppo. A certificare il «ritorno» all’industria del nostro Paese, a dispetto delle aspettative per anni riposte nel terziario, è Mediobanca. Lo studio «Dati cumulativi», che raccoglie i bilanci di 2020 società di grandi e medie dimensioni attive nell’industria e nei servizi, calcola a fine 2007 un utile complessivo in crescita del 10% a 29,91 miliardi. È il miglior risultato di sempre, reso possibile da un’attenta gestione e dalla forte domanda di prodotti (come le macchine utensili) e semilavorati (acciaio) proveniente dai mercati in via di sviluppo. In sostanza la globalizzazione, cui il made in Italy ha risposto mettendo mano al proprio assetto organizzativo anche attraverso esternalizzazioni e puntando sulla qualità della produzione, tanto che l’industria ha spinto del 14,3% il risultato corrente.
Ha perso, invece, colpi il terziario (meno 5,2%), quello che, insieme alla pubblica amministrazione, più concorre al prodotto interno lordo italiano. Un bilancio a due velocità ripetutosi, secondo Mediobanca, nei primi cinque mesi di quest’anno (più 8% l’export del manifatturiero) e che con buona probabilità si protrarrà fino dicembre, malgrado le ferite provocate dai mutui subprime al credito e alla finanza mondiale. L’analisi è confermata dal fatturato che, seppur dimezzato nella crescita rispetto al 2006 (più 4,5% contro il 9,9%) ha compensato con l’estero (più 11,1%) l’incertezza del mercato interno (più 2,1%). Bene le imprese industriali (più 5%), con in testa il manifatturiero (più 6,6%), mentre il terziario si è fermato al 2,15%. Il giro d’affari dell’alimentare è migliorato del 4,3% (più 17% le esportazioni), quello della meccanica e dell’elettronica del 9,7% (più 55,3%) e il metallurgico dell’11,8% (più 34,5%). La situazione non cambia con le altre voci di bilancio: più 16,3% il margine operativo dell’industria (meno 0,8% quello del terziario). Tanto che per la prima volta in dieci anni il manifatturiero crea ricchezza (1 punto percentuale sul capitale investito) mentre i servizi hanno distrutto valore anche se è l’energia a mantenere il primato dei profitti. Sull’utile ha avuto un impatto il calo delle imposte (Ires e Irap) deciso dal governo Prodi, in vigore dal 2008 ma con effetti contabili dal 2007: il tax rate è sceso dal 33% al 28%, ponendo le aziende italiane in vantaggio sulle concorrenti europee (32% il tasso medio). Più penalizzate le medie imprese (38%).
In ogni caso la produttività del lavoro è migliorata del 3,7% (più 19% in 9 anni) e complice la flessibilità introdotta dalla legge Biagi, è salita l’occupazione: 403 dipendenti in più, risultato dal saldo tra 1.

325 assunzioni nel settore industriale e 922 uscite dal terziario. I dividendi valgono complessivamente 20,5 miliardi mentre c’è stato un forte balzo di investimenti finanziari (33,2 miliardi) e dell’indebitamento (38,7 miliardi) dovuto allo shopping estero dei big dell’energia.

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