L’Italia sfratta l’orso Dino Ma così si fa ricattare da contadini e cacciatori

Il nostro orso si chiama Dino e non Bruno, come quello che ha fatto una brutta fine per avere osato sconfinare in Austria e poi in Baviera, dove ha trovato i solerti cacciatori «di stato» che lo hanno impallinato. Come resero noto i tedeschi, erano 170 anni che non vedevano orsi sul loro territorio e non gradivano affatto la presenza di Bruno. Loro stavano bene così e non avevano rimpianti di plantigradi buoni, cattivi o zuzzurelloni. Hanno avuto un bel da dire animalisti e Grünen, che Bruno era solo un po’ esuberante, ma era un bravo orso. «Nein», ha risposto la popolazione locale. Sarà anche bravo e buono, ma se continua a mangiare pecore e galline ci rimette il pelo. Ha continuato e i «crucchi», quando hanno preso una decisione, è dura farli tornare indietro. E infatti, il povero Bruno giace ora imbalsamato di fronte all’entrata del museo della tecnica di Monaco. Il gusto artistico ed estetico dei tedeschi non è proprio un must.
Anche l’orso M5, prontamente ribattezzato Dino in onore di Buzzati, ha compiuto le sue brave scorribande in Veneto, soprattutto nella provincia di Vicenza, facendo d’altronde quello che ogni orso è abituato a fare in natura, ossia cibarsi con il minimo sforzo possibile e talvolta predare anche più del necessario per fare scorta. Così ci sono andati di mezzo galline, pecore, asini e alveari. La faccenda ha fatto infuriare a tal punto i contadini e una parte dei veneti residenti nelle zone bazzicate da Dino che non è servita a nulla l’entrata in campo del nuovo ministro per le politiche agricole Giancarlo Galan. «Nessuno lo tocchi, nessuno si sogni di usare armi, i controlli ci sono già» aveva dichiarato il neo ministro, strappando l’applauso di associazioni blasonate quali il Wwf. Niente da fare. I contadini veneti non ne vogliono sapere di stazzi, di recinti elettrificati e altre diavolerie per tutelare i propri animali.
L’ultima riunione convocata ad Asiago, in cui hanno partecipato amministratori e biologi, si è conclusa con un foglio di via per il plantigrado esuberante che dovrà essere catturato, impresa non facile, e ricondotto nella sua patria. L’Italia non lo vuole, o meglio, i veneti non lo vogliono, perché Dino ha decine di migliaia di fans che ne chiedono la libertà sul nostro territorio. D’altronde contadini e cacciatori veneti hanno fatto intendere chiaramente che, o smamma o si becca un pallettone sulla fronte, proprio come Bruno.
È incredibile come in tutto il mondo e in vaste aree del nostro paese (Trentino, Abruzzo) gli orsi che si stanno moltiplicando negli ultimi anni riescano a convivere con l’uomo diventando motivo d’orgoglio e di attrazione turistica, mentre il Veneto non tolleri la presenza di un orso, seppure un po’ invadente. È ora che si facciano delle scelte oculate, importando e reintroducendo specie opportune (e non a casaccio come è successo in passato) nel contesto di piani faunistici studiati e concordati assieme alle nazioni confinanti ed è ora che contadini e cacciatori non si arroghino il diritto di ricattare amministratori, ricercatori e, alla fine, un’intera nazione che ha il diritto di rivedere sul proprio territorio il lupo, l’orso, la lince e l’aquila reale, antichi e pregiati abitanti dei nostri areali.

Se danni ci sono a contadini e agricoltori si faranno gli adeguati indennizzi, come capita in Trentino per gli orsi e in tutta Italia per i cinghiali o altri animali di interesse cinegetico. E se la preoccupazione è per la gallina ruspante, la si tenga protetta nell’aia. Come si faceva una volta.

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