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L’Italietta dei comprimari spera ancora nelle donne

Oggi corre Bolt, ma stanotte marcia Schwazer. Non c’è gioco e nemmeno paragone, ma questa è l’esatta dimensione della nostra atletica rispetto al resto del mondo. Stanotte la storia si ricorderà di Oscar Pistorius, all’esordio nei 400 metri. E l’Italia dell’atletica, sì stavolta molto italietta, farà i suoi conti in questo mondiale di Daegu avendo nulla da perdere (zero medaglie a Berlino 2009), armata di speranze e realismo. Basta spiegare attraverso i nomi. Antonietta Di Martino è il portabandiera della speranza (una medaglia, niente di più), Alex Schwazer il bizzarro cavallino delle illusioni perdenti (nemmeno perdute), gli altri (Rubino, La Mantia, Donato, la staffetta 4x100, Rigaudo, Meucci) un bel gruppo i figli del realismo. Oggi, all’ora del pranzo, mentre Usain Bolt starà scaldando i motori, Marta Milani, bergamasca tutta grinta (400 m.) e Niccola Vizzoni, capitano di lunga data (ottava partecipazione nel martello), apriranno i mondiali azzurri.
Forse un simbolo, forse un sintomo: una ragazza che ce la mette tutta e un vecchione che non fatica a tenersi a galla nel nostro blu dipinto di blu. Solo due comprimari: questa è l’Italia. Anche se i miracoli dalle nostre parti sono all’ordine del giorno e l’atletica ce lo ha spiegato più di una volta. Molto più difficile diventare regine in un mappamondo di 202 nazioni, ma Antonietta Di Martino sta lì con le più brave: lei, così piccoletta per essere una saltatrice in alto, davanti alle stangone. Ancora una volta il mondo delle speranze italiane è donna: Vezzali, Idem, Pellegrini, Di Martino. Ciascuna figlia di un credo, di qualche vezzo, di piccole scaramanzie, ma che poi racchiudono il pensiero donna del nostro sport.
La Di Martino ha sintetizzato per tutte, giusto per spiegarci un indomabile mondo donna. «Non ho amuleti, non mi piace legarmi ad un oggetto. Molto meglio un preghiera prima della gara. E poi un sorriso quando mi chiedono se mi sento vecchia. Ho 33 anni e salto 2 metri. Non penso di esserlo». Semplice, ma non semplicistico. Questa è l’Italia che sa lottare e vincere. Poi c’era quella di Alex Schwazer. Sembrava un mister muscolo, omino del braccio di ferro quando marciava. Ha scoperto il bello dello sport con l’oro olimpico, forse il bello della vita con Carolina Kostner, ma si è perso il bello del campione.
Ed ora siamo qui ad attendere un segnale, magari il miracolino tessuto in 20 km di marcia. Stanotte alle due la partenza, poi chissà. Alex tiene toni bassi. Dopo Pechino ha promesso tanto e si è sempre dovuto mordere la lingua. Ha pensato di mollare tutto, intanto ha mollato il vecchio allenatore (Damilano) e si è affidato a Michele Didoni, sintomi di una sorta di mosca cieca: ci prova, e ci riprova. Quest’anno Schwazer è riuscito perfino a farsi del male provando lo sci. Ora sta meglio. Non c’è nulla che faccia presagire il meglio. Ci proverà, insieme a Rubino: la 20 km non è la specialità della sua grandezza. Eccone una spiegazione: «Senza intenso allenamento invernale alle spalle, nella 50 km si rischiava. Non ho una aspettativa precisa. Vada come vada, questo lavoro sulla velocità mi servirà per Londra 2012. Quattro anni fa sono arrivato nono ad Osaka, ora mi piacerebbe non prendere troppi minuti dal primo».

Non è esaltante, ma cosa volete che sia se il mondo guarda a Bolt e noi a Schwazer.

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