Là in mezzo al mar «il Giornale» va a gonfie vele

Caro Granzotto, leggo nella dirimpettaia «Stanza» di Mario Cervi due cose che la riguardano e che mi piacerebbe mi fossero chiarite. La prima è il suo essere «borbonico» (così la qualifica il lettore Mario Biffi. «Non ho capito se sia un’accusa o un elogio», commenta Cervi), anche se per paradosso vive nella sabauda Torino. La seconda è il riferimento a discutere del suo essere borbonico nel corso di una crociera di maggio. «Mi piacciono molto questi ripassi - scrive ancora Cervi -, soprattutto se fatti in compagnia di chi, come lei, segue il nostro lavoro». Non mi è chiaro il concetto. Quali ripassi?
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Ma come, non lo sa, caro Soldati? Il prossimo 23 maggio ci si imbarca per la crociera mediterranea dei lettori del Giornale. Una delle iniziative più azzeccate dal pensatoio di via Gaetano Negri perché consente a noi (noi saremmo, per ora, il presidentissimo Gian Galeazzo Biazzi Vergani, Mario Cervi e il sottoscritto) e a voi di stare insieme per una settimana. Di incontrarci, di conversare, di fare i «ripassi» su questo o quell’argomento, nel bel mezzo del sontuoso e fecondo - al corpo e alla mente - ozio crocieristico. Tutto ciò in seduta comune nel teatro di bordo, o alla tavola del ristorante o spaparanzati sul ponte al sole o al bar (però, per quanto mi riguarda, quello riservato ai fumatori) per il bicchierino della staffa. Naturalmente ci saranno anche le gite a terra delle quali, a esser sincero, non sono assiduo. Però sto già mettendo su una task force coi lettori che mi hanno preannunciato la loro presenza a bordo, per una sarabanda storico-gastronomica a Barcellona. Due le mete: la cattedrale e più precisamente la «Cruz de Lepanto» che vi è conservata e venerata; la stessa che Pio V donò a don Giovanni d’Austria e che fu posta sulla plancia di quella ammiraglia - la Capitana - che domenica 7 ottobre 1571 condusse alla vittoria (per cappotto) la flotta della Lega Santa opposta ai marrazzoni di Mehmet Alì Pascià. La seconda meta ha nome «El Cangrejo Loco», il granchio matto. Ristorante «di culto» per gli aderenti, foss’anche solo in ispirito, del Club del Tavernello area pescados y mariscos, pesce e frutti di mare. Ci faccia un pensierino, caro Soldati, e poi mi dica.
E veniamo alla mia borbonicità. Se si intende per borbonico chi non s’accorda con la diffamazione preconcetta e martellante del Regno delle Due Sicilie e della sua gente ebbene sì, sono borbonico. Non batto ciglio sull’unità d’Italia: quel che è fatto è fatto, indietro non si torna. Ma seguitare a sentire e a leggere che la conquista del meridione fu un atto dovuto per riportare sulla retta via i «caffoni», esportarvi la civiltà, l’abbagliante luce della cultura, del buon governo e del sabaudo culto dei diritti umani (ben rappresentato dal gulag di Forte Tavernelle) mi fa saltar la mosca al naso. E a sentir chiamare opera di apostolato civile quella che fu rapina a man bassa, mi vengono le paturnie. Se invece borbonico è chi, appellandosi al revisionismo storico, invoca una riscrittura delle gloriose giornate, allora no, non sono borbonico.

In quanto visionista e non revisionista, a me basterebbe una scrittura del processo unitario: ma che fosse sincera. Che raccontasse, insomma, come si svolsero i fatti. Senza le reticenze i pennacchi e i falpalà della retorica risorgimentale.

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