L’odissea infinita dei riparatori navali

Va be’ che siamo in tempi di calcio mundial, ma sballottare ogni volta le aziende delle Riparazioni navali come fossero palloni di cuoio sembra davvero troppo, soprattutto per i diretti interessati. Che si sentono spediti oggi a ponente, domani a levante di Genova, e dopodomani addirittura in altre città, per far posto - lamentano - al «piano di razionalizzazione dell’area industriale del porto elaborato dall’Agenzia Waterfront e finalizzato all’utilizzo pubblico di aree demaniali attualmente occupate dalle aziende concessionarie portuali». A proposito di piano (con la lettera minuscola): i riparatori navali ribadiscono che «le ipotesi progettuali contrastano con quanto previsto, e già in gran parte finanziato, dal vigente piano regolatore portuale». Già, il «famoso» piano, sempre con la lettera minuscola, vecchio di anni, che è tuttora in fase di (lenta) applicazione e sta creando, fra l’altro, forti tensioni fra terminalisti e autorità portuale. Nel frattempo, si continua a parlare e soprattutto a discutere del maiuscolo Piano, nel senso di Renzo, e del suo Waterfront come se fosse questione di domani mattina e non di qui a trent’anni almeno, come riconoscono tutti coloro che hanno a che fare con l’ambizioso progetto.

In questo ambito, le Riparazioni navali - tanto per dire: la maggiore concentrazione industriale di Genova, anche dal punto di vista degli occupati direttamente e nell’indotto - rischiano di fare la parte del pallone, sentono aria di trasferimento perpetuo e ricevono in cambio ben scarsa solidarietà. Meno male che, nel frattempo, mugugnano, ma continuano a lavorare. Fino a quando, però?

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