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L’ombra di investimenti sospetti frena la corsa di Barack Obama

Il senatore afroamericano accusato di aver comprato azioni di aziende possedute da suoi finanziatori

da Washington

Può una campagna elettorale destinata a costare decine di milioni di dollari essere fatta deragliare, o magari decisa, da due minuscoli investimenti per un totale di 55mila dollari? Sì, se quello coinvolto nello scandalo o pseudoscandalo è un candidato alla Casa Bianca. Nel costume della politica Usa, e più ancora della radicata abitudine americana di privilegiare in tutti i campi il «carattere» sulla brillantezza mentale e soprattutto sui programmi, un passo falso anche microscopico può portare sorpresa e rovina: naturalmente se i sostenitori di un uomo politico rivale balzano sull’occasione, e sulla preda.
Nel mirino, questa volta, è Barack Obama, senatore dell’Illinois e sino a questo momento principale avversario di Hillary Clinton, senatore di New York, nella gara per la conquista della nomination democratica per la Casa Bianca nel 2008. Un giovane dalla carriera impetuosamente rapida, balzato in meno di due anni alla fama da una relativa oscurità. Obama è «accusato» di avere investito 55mila dollari in due imprese definite «altamente speculative»; quelle in cui talvolta gli acquirenti ricevono «soffiate» di dubbia legalità da agenti di Borsa o speculatori che si incaricano così di accattivarseli. In particolare si tratta di una ditta «biotecnica» che due anni fa cominciò a produrre una medicina contro l’influenza aviaria. Nel febbraio 2005 il debuttante senatore Obama avrebbe acquistato alcune azioni per un totale di 5mila dollari e nel marzo dello stesso anno si sarebbe fatto promotore di una azione legislativa che mirava ad aumentare gli stanziamenti federali per combattere quella malattia.
Successivamente lo stesso Obama acquistò una società di comunicazione via satellite i cui principali finanziatori includevano alcuni suoi amici e sostenitori che avevano raccolto più di 150mila dollari per la sua campagna elettorale. «Conflitto di interessi», dice chi ha sollevato lo scandalo. «Il senatore non conosceva queste ditte, almeno fino all’autunno dello stesso anno», dice un portavoce di Obama. E quindi non poteva esserne influenzato. Ad ogni modo egli rivendette queste azioni a un prezzo inferiore a quello d’acquisto rimettendoci 13mila dollari. Colpa del suo consulente finanziario, che avrebbe comprato le azioni senza consultare il senatore, che aveva depositato presso di lui capitali per un «blind trust» istituito per lui. Obama, dice sempre la «difesa», investì in questi fondi «ciechi» proprio per liberarsi da ogni possibile conflitto di interessi. E quando si rese conto che tanto cieco quel fondo non era, se ne ritirò. Una cosuccia da nulla come quantità e fors’anche qualità, ma particolarmente scomoda per un esponente politico come Obama che ha fatto dell’«etica» uno dei temi centrali di tutte le sue campagne elettorali.
Le operazioni avvennero in un momento in cui il senatore dell’Illinois si avviava a una risonante vittoria grazie anche a massicci prestiti, legati forse anche ad altre operazioni finanziarie: per esempio il salario della moglie di Obama fu triplicato in quei tempi fino a toccare i 25mila dollari annui.

La credibilità di queste «rivelazioni» sarebbe rafforzata dal passato chiacchierato di alcuni fra i finanziatori delle ditte in questione.

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