Cultura e Spettacoli

L’omicidio è un refuso, indaga il correttore

A La Spezia e dintorni, ma anche nella vicina Alta Toscana, si fa un uso molto ben figurato del verbo «abbozzare». Uno «abbozza» quando, colto in flagrante per un errore o una colpa, oppure in qualche modo sconfitto, battuto, diventa piccolo piccolo, onde nascondersi. Il Devoto-Oli spiega: «Etimo incerto; forse da abbozza!, voce di comando con la quale in marina s’impartisce l’ordine di fermare (un cavo, una catena) con una bozza». Corriamo alla voce «bozza», dove leggiamo, fra l’altro: «Cavo o catena che serve a trattenere provvisoriamente un altro cavo sotto tensione oppure un oggetto». Ma troviamo anche «Bozze (o prove) di stampa, tiratura di una composizione tipografica su una sola facciata di un foglio, con larghi margini per le correzioni».
Ora, quelle che abbiamo qui sulla scrivania sono, indubitabilmente, le bozze, in quest’ultima accezione, di un libro che s’intitola Il correttore di bozze (Sellerio, pagg. 184, euro 12) e che proprio ieri è uscito (dal bozzolo, verrebbe da dire) per andare in libreria. Lo ha scritto, cioè lo ha abbozzato, Francesco Recami. Lo ha abbozzato anche, alla spezzina o alla toscana, facendosi piccolo piccolo. Tanto piccolo da celarsi come un ragno nel bianco che separa i righi (non «le righe», si dice, tecnicamente, proprio «i righi»).
Vi diranno che questo libro è un romanzo giallo. Vi diranno che è una storia sconclusionata (ma non l’ha ordinato il medico che le storie abbiano una conclusione...). Vi diranno che è una presa in giro dei meccanismi editoriali. Vi diranno che è una parodia del marinettismo, con tutte quelle parole in libertà (ma le parole non sono mai in libertà, essendo vincolate al loro senso...). Vi diranno qualsiasi cosa, di questo libro, di queste bozze. Avranno tutti ragione e tutti torto, come sempre. Noi, abbozzando nel senso di «realizzare in forma preliminare o provvisoria» (cfr. Devoto-Oli), vi diciamo che questo libro ha, se non altri, almeno un merito: mostrare che fra i molti romanzi che ogni romanzo contiene c’è anche quello del suo correttore. Cioè di quella figura anonima, di quel fantasma, di quel convitato di pietra che sta sempre nel retrobottega di un romanzo.
Che cosa fa il correttore? Cerca e poi corregge i refusi. «I refusi si trovano nascosti nel bosco più fitto, su dei piccoli pianori soleggiati, e come i funghi non vanno mai soli». Dunque quella del correttore è un’indagine. Meglio, una caccia. Dunque il suo lavoro è comunque la trama di un giallo, anche se ambientato nelle istruzioni per il congelatore o in un testo di biologia. Per di più quel personaggio-autore che è il correttore presenta già di per sé una caratteristica romanzesca: guadagna molto poco. «Veniva pagato a battuta, normalmente 0,0005 centesimi di euro l’una». Ancora: «in teoria un libro può essere corretto infinite volte» (leggi delitto reiterato). Infine: «Il testimone oculare (il correttore, ndr) ha tanta colpa quanto l’omicida, o lo stupratore (l’autore, ndr)? Da un certo punto di vista sì, pensava».

In senso figurato: l’assassino è il maggiordomo? Perché no? «Ma che ci vuole a spararle grosse? Ve ne vengono in mente senz’altro più a voi che a me».

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