L’onorevole Bonolis presta all’autista la velina Santarelli

Il popolare conduttore tv è un disinvolto deputato in «Commediasexi» con la Buy, Rubini, la Rocca e Placido

Michele Anselmi

da Roma

Il manifesto è squillante, alla maniera dei film natalizi di De Laurentiis, con le stelline e i cinque personaggi stretti attorno al titolone in rosa, in pose sorridenti o maliziose. Ma l'ambizione è più alta. Piacere al grande pubblico senza farsi stritolare nella sfida delle Feste (stavolta Boldi e De Sica sono l'uno contro l'altro armati); e insieme rinverdire i fasti della commedia di costume, alla Germi, Risi e Monicelli, che faceva scompisciare dalle risate e un po' riflettere. Scherza infatti Alessandro D'Alatri nelle note di regia: «Dopotutto se finora c'è stato spazio per i cine-panettoni perché non provare a proporre agli spettatori il sapore di un nuovo cine-pandoro?». Già, perché no?
Il 15 dicembre, lo stesso giorno cruciale di Olé e Natale a New York, esce in trecento copie Commediasexi. Forse un azzardo, forse un successo. Vedremo. Prodotto da Cattleya e distribuito da 01, il film di D'Alatri mobilita un cast a suo modo stellare (Sergio Rubini, Margherita Buy, Stefania Rocca, Michele Placido), con una novità, anzi due: Paolo Bonolis nel suo primo ruolo da protagonista sul grande schermo accanto alla bombastica Elena Santarelli. Protagonista speciale, nel senso che l'animatore di Fattore C si diverte a incarnare un politico di centro, di ispirazione post-democristiana, diciamo tra Casini e Mastella, impegnato nella faticosa stesura di una nuova legge sulla famiglia.
«Chi ha detto che è di centro? È un politico e basta, figurarsi se specifico», mise le mani avanti il regista, qualche mese fa, spiegando che «a me della politica non frega nulla». Insomma, D'Alatri avrebbe scelto quella professione solo perché «i politici oggi sono i personaggi più esposti, visibili, consumati dai media». Tuttavia il regista di La febbre, film che omaggiava il presidente Ciampi sia pure in una chiave onirica, oggi scrive: «Il vuoto pneumatico della politica e di qualsiasi altra forma di potere etico ha realizzato l'effetto domino sui comportamenti sociali», sicché «siamo al cospetto di un tempo comico meraviglioso nel quale si cerca un'accidentale felicità priva di ogni fondatezza».
Vi chiederete dunque che cosa si vede in Commediasexi. Si vede l'onorevole Bonfili, appunto Bonolis, occhialini rettangolari e capelli lisciati all'indietro, alle prese con il più classico dei dilemmi maschili: come gestire, lui marito e padre premuroso, un affare di letto con la procace velina di turno. Situazione da pochade, aperta a tutti gli sviluppi del genere, tra equivoci, sbugiardamenti, depressioni e colpi d'ala. D'Alatri è da sempre critico nei confronti di «una società che ha preso piena coscienza della propria mediocrità e ora se la porta in giro, se non proprio con fierezza, con serenità d'animo». Ma siccome il film è anche una macchina per ridere, ecco che il regista dissemina la vicenda di inciampi buffi, di riferimenti televisivi, di affondi sordiani. Del resto, siamo nella Capitale, Bonolis è un romano doc, il tributo affettuoso al Sordi della maturità, sornione e scaltro, è quasi d'obbligo. Basterebbe vederlo, questo on. Bonfili, mentre commenta alla buvette di Montecitorio l'iter della famosa legge. «Me manca Pulcinella e Balanzone, poi ho incontrato tutti», scherza, dopo aver ricordato che «lavorare per il bene del Paese è dovere sociale, civile e morale». Intanto, però, si gode l'emergente attricetta Martina, che disdegna in pubblico e molto apprezza in privato al suono di «Bella pupazzona mia, vie' qua».
«Non tutti i politici sono falsi come lui, in realtà siamo tutti noi un po' simili a Bonfili, basta osservare la quotidianità e aprire la porta di casa», ha spiegato Bonolis qualche giorno fa, partecipando a una curiosa iniziativa promozionale del film all'autodromo di Vallelunga. Aggiungendo: «Non ho le qualità dell'attore, ma sul set tutti mi hanno voluto bene». In effetti, il mattatore tv rifà ampiamente se stesso sullo schermo, sia quando risponde in francese maccheronico allo chef parigino («Quand c'est trop, c'est trop e te s'intopp...»), sia quando incassa i rimbrotti dell'alto prelato dalla teutonica parlata («Eminenza, una volta fare una legge sulla famiglia era facile, oggi le cose si sono complicate...tutte queste pecorelle smarrite»).
E però lo scandalo è in agguato. Il nome del politico rischia d'essere accostato a quello della sventolona bionda, e a quel punto scatta la contromisura: sarà il suo autista, il placido e fedele Mariano, a doversi fingere amante della fanciulla, con effetti prima disastrosi e infine sconvolgenti.
Qualcosa del genere succedeva nel francese Una top model nel mio letto, ma D'Alatri se ne distacca subito, fedele all'idea che nell'Italia odierna la commedia sgorghi «direttamente dalla vita, senza necessità di potenziare la comicità, semmai di ridurla».

Come sembra ricordarci quel cuoco sessuomane e impertinente, un Placido in gran forma, che corteggia la moglie insoddisfatta dell'onorevole, Pia, sussurrandole al telefono: «Cucinare è come fare l'amore, sono importanti i preliminari».

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