L’Opec aumenta, il greggio vola

Il Cartello offre 500mila barili in più, ma il petrolio schizza a 56,7 dollari per il calo delle scorte Usa. Benzina, in Italia +10% in un anno

da Milano

L’Opec offre ai mercati altri 500mila barili in più al giorno di greggio, ma le quotazioni del petrolio, complice un forte quanto inatteso calo delle scorte americane, volano ben oltre i 56 dollari.
Forse perché attesa, la decisione del Cartello di rimodulare l’output di mezzo milione di barili e di innalzare quindi la produzione complessiva a quota 28 milioni, ha finito per deludere e alimentare i timori di un’offerta insufficiente a soddisfare la crescente sete energetica mondiale. La flessione degli stock di greggio Usa nella settimana chiusa il 10 giugno di 1,8 milioni di barili, il doppio rispetto alle previsioni, ha successivamente contribuito ad accrescere il nervosismo, con ripercussioni pressochè immediate sui prezzi, che a New York si sono spinti fino a un top di seduta di 56,70 dollari.
La flessione delle riserve statunitensi ha fatto scattare un campanello d’allarme, trattandosi della seconda contrazione dopo quella di 3 milioni di barili verificatasi in precedenza. Con la driving season ormai prossima alla fase più calda, la Casa Bianca sta monitorando con attenzione particolare l’andamento del greggio, soprattutto per i contraccolpi probabili sui listini dei carburanti. Fenomeno peraltro particolarmente sentito anche in Italia, dove nell’ultimo anno la benzina è rincarata del 10% e il gasolio del 18,3%, con un aggravio per i consumatori di 220 euro. Il presidente George W. Bush ha infatti rinnovato ieri il pressing sui Paesi produttori affinchè aumentino la produzione. Nel vertice di Vienna l’Opec ha lasciato aperta la porta alla possibilità di un ulteriore ritocco verso l’alto di 500mila barili prima della conferenza ministeriale di settembre, ma secondo gli esperti l’organizzazione è ormai ai limiti della capacità di produzione.
Il surriscaldamento del petrolio rischia inoltre di vanificare il raffreddamento delle quotazioni di maggio, fenomeno che in buona misura ha permesso agli Stati Uniti, per la prima volta in un anno, di registrare un calo dei prezzi al consumo dello 0,1% (più 0,1% la parte core, quella che esclude alimentari e prodotti energetici) dopo il più 0,5% di aprile. Il quadro congiunturale complessivo non dovrebbe comunque provocare ripensamenti da parte della Fed, che quasi certamente alzerà di un altro quarto di punto i tassi, al 3,25%, nella riunione di fine mese. Nel Beige Book diffuso ieri sera la banca centrale Usa ha confermato che la crescita rimane solida con moderate pressioni sui prezzi.


Continuano infine a non rispettare le attese le compravendite di asset Usa, salite in aprile a 47,4 miliardi di dollari (40,6 miliardi in marzo) contro una previsione di circa 70 miliardi. Il dato, deludente per le implicazioni legate al deficit commerciale Usa, ha consentito ieri all’euro di riagganciare quota 1,21 dollari.

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