Milano - Il dato di Carmen è la morte. Lo avevano capito i librettisti Henri Meilhac e Ludovic Halévy, la stupenda novella di Prosper Mérimée era un soggetto per i tempi «pericoloso» come ci ha spiegato il poeta Banville. Ma proprio il trentaseienne Georges Bizet l’aveva scelta per rispondere alla commissione dell’Opéra-Comique di Parigi. Previdente, Halévy, si recò dal direttore della maison, Adolphe de Leuven, per parlare del soggetto. «Carmen... La Carmen di Mérimée! Ma non è quella assassinata dal suo amante?... Piena di ladri, zingari e sigaraie?... All’Opéra-Comique!... Il teatro delle famiglie! Il teatro degli incontri prematrimoniali!... Metterete in fuga il nostro pubblico!... È impossibile!».
Davanti alla risoluzione di Halévy, de Leuven, prima che uscisse, gli rivolse un’ultima supplica: «Vi prego, cercate almeno di non farla morire. La morte all’Opéra-Comique! Il teatro delle famiglie. Non si è mai visto». La sera della prima di Carmen (3 marzo 1875) le cose iniziarono bene: il preludio venne bissato, l’habanera e il duetto fra Don José e Micaela applauditi. Entusiasmo per l’aria del toréador e per il quintetto dei contrabbandieri.
Gli ultimi applausi li strappò Micaela con la sua aria Je dis que rien ne m'épouvante, al terzo atto.
Poi sul teatro delle famiglie calò il gelo per tutto il quarto atto. Tre o quattro amici dissero qualche parola di circostanza al compositore dietro il sipario. Nemmeno il Mentore di Bizet, Charles Gounod, risparmiava critiche. Il pittore Jacques-Emile Blanche lo sentì dire dopo l’aria di Micaela: «Questa melodia è mia! Georges mi ha svaligiato, se si tolgono le arie spagnole e le mie dalla partitura, non resta niente da mettere in conto a Bizet, tranne la salsa con cui si sfuma il pesce». Gounod, l’operista più famoso di Francia, abbracciava in pubblico il «suo» Georges rilasciando in privato commenti al vetriolo.
Ma come poteva sfuggirgli la meraviglia del superbo strumentale di Bizet? Un compositore che a sedici anni aveva scritto quel gioiello che è la Sinfonia in do, l’autore in Carmen del formidabile entr’acte d’apertura, del notturno incantato, en plein air, che apre il quadro delle montagne, della travolgente tauromachia nell’ultimo atto. Non fu un caso che l’orchestrazione fu compiuta fra le verdi anse della Senna, a Bougival. Lì piantavano i cavalletti Renoir e Monet e Corot aveva affrescato un albergo. I parigini, come Bizet, nuotavano, remavano e flirtavano in perfetto stile Maupassant.
Contrariamente all’andamento della prima e alle previsioni dei soliti messi di sventura, l’opera tenne per trentatré sere (fino alla morte dell’autore) e divenne quasi un successo. L’originale alternava parti cantate e parlate. Fu approntata da un devoto collega, Ernest Guiraud, una versione con i dialoghi musicati.
Questa edizione si impose subito all’estero a partire dall’esecuzione di Vienna (1875), dove un certo Johannes Brahms la volle ascoltare ventuno volte. Fu battuto da Bismarck che ne ascoltò ventisette. E Brahms, come ci informa Mario Bortolotto, riteneva il Cancelliere prussiano, fra i non musicisti, un giudice infallibile.
Mentre Carmen trovava difficoltà a ritornare all'Opéra-Comique, in tutto il mondo si imponeva soprattutto la versione in lingua italiana. Fra i tanti che ascoltarono l’opera a Vienna c’era Pëtr I’lic Ciaikovskij. Confessò al fratello Modest: «Non posso suonare l’ultima scena senza piangere. Da una parte, la gioia popolare e il feroce eccitamento della folla che guarda la corrida; dall’altra, la terribile tragedia e la morte della protagonista, entrambi spinti e trascinati da un fato malvagio.
Sono convinto che in dieci anni la Carmen sarà l’opera più popolare del mondo». All’Opéra-Comique ci tornò nel 1883. Lasciò nel 1959 la Salle Favart dopo 2.946 rappresentazioni per entrare all’Opéra, Palais Garnier, nel meraviglioso allestimento di Raymond Rouleau e Lila de Nobili.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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