L’opposizione esulta: il premier si dimetta è senza maggioranza

Schifani (Fi): si è aperta una crisi Matteoli (An): il Quirinale deve intervenire. D’Onofrio (Udc): via dal governo la sinistra radicale

da Roma

Macché incidente di percorso. Il governo è in crisi e il Quirinale deve intervenire. Per la Cdl, il sì del Senato al suo ordine del giorno sulla base americana di Vicenza dimostra che l’esecutivo Prodi «non ha una politica estera».
«Dimissioni, dimissioni!», gridano dai banchi i senatori di centrodestra. Per il coordinatore di Fi, Sandro Bondi, a questo punto il premier Romano Prodi deve dimettersi. Con il voto di ieri, spiega in una nota l’azzurro, «si è aperta una crisi politica da cui un presidente del consiglio responsabile dovrebbe trarre le necessarie conseguenze per salvaguardare la credibilità internazionale dell'Italia, messa a dura prova dalle continue convulsioni di cui è preda l'Unione».
Ma il Professore non lo farà, assicura il capogruppo di Fi Renato Schifani, per «il suo spirito di attaccamento alla poltrona». E allora, ci vuole «una autorevole e alta iniziativa» del capo dello Stato. Giorgio Napolitano dovrebbe, secondo l’azzurro, convocare Prodi e poi rinviarlo al parlamento «per un nuovo voto di fiducia su un programma di politica estera che questa volta sia ben individuato, chiaro, incisivo e non suscettibile di interpretazioni di parte come quelle che hanno dato luogo alla situazione da teatro dell'assurdo che è andata in scena al Senato».
È quello che sostiene anche il capogruppo di An al Senato, Altero Matteoli. «Oggi c'è un'altra maggioranza e il capo dello Stato deve prenderne atto. Se c’è, batta un colpo». Il governo dovrebbe essere rinviato alle Camere, aggiunge, perché «non ha una politica estera condivisa dalla maggioranza parlamentare».
Lo fa notare anche il presidente dei senatori leghisti, Roberto Castelli: «Per la maggioranza è stata una vera disfatta. La maggioranza al Senato non c’è». Per lui, è «paradossale» che la Cdl appoggi la relazione del ministro della Difesa Arturo Parisi, mentre l’Unione «semplicemente prende atto». Insomma, il centrosinistra che dovrebbe sostenere il governo non lo fa ed è più governativa la mozione dell’opposizione. Un paradosso.
Più articolata la posizione dell’Udc, con il capogruppo Francesco D’Onofrio che prima vuole salire al Colle per chiedere a Napolitano di invitare il governo a presentarsi alle Camere per il voto di fiducia e, dopo il sì del Senato all'odg dell'opposizione, dice che ciò «rende inutile l'incontro». Ma il centrista aggiunge che quella sulla politica estera è per il centrosinistra una «sconfitta bruciante, di quelle che lasciano il segno». Per D’Onofrio, è finita «la stagione dell'ipocrisia» e ora s’impone una scelta alla sinistra radicale: «O piega la testa o esce dal governo».
C’è soddisfazione in tutto il centrodestra per la mossa a sorpresa che ha messo ko il governo e la maggioranza, evidenziandone la debolezza. «Per il governo è suonata la campana dell'ultimo giro: anche se la sinistra cerca di nasconderlo, la bici di Prodi ha le ruote ormai bucate», incalza il portavoce di Silvio Berlusconi Paolo Bonaiuti. Bondi, dopo l’annuncio di Prodi sul vertice di maggioranza, lo paragona al pompiere che non si accorge che «a bruciare è casa sua». La maggioranza è «disarticolata» per il vicecoordinatore di Fi Fabrizio Cicchitto e il premier cade «nel ridicolo» con le sue dichiarazioni.
Non si può minimizzare l’accaduto, secondo il portavoce di An Andrea Ronchi. Chi nella maggioranza lo fa, «danneggia innanzitutto la credibilità internazionale dell'Italia». E cita la frase dello stesso Parisi: «La politica estera è una cosa troppo seria per lasciarla in mano a un governo che, di fatto, non ha più la maggioranza».
Cita invece Spadolini il leader dell'Udc Pier Ferdinando Casini.

Lo statista repubblicano diceva: «Navigano a vista». E la vicenda del Senato per Casini «dimostra che questo governo naviga a vista». Stessa metafora di Alfredo Biondi di Fi. Ne preferisce una pugilistica l'azzurro Simone Baldelli: «La maggioranza è andata al tappeto».

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