Ieri, in piazza San Babila, Silvio Berlusconi ha rilanciato una parola e un concetto in disuso da molto tempo sia nel linguaggio corrente sia nelle analisi politiche e sociali: borghesia. Da anni, ormai, si parla solo di «classe media»; un po' per accettazione supina dell'inglese middle class; molto perché la definizione di «borghese» aveva finito per diventare quasi un insulto, nell'uso dominante della vecchia sinistra: marchiata d'infamia, la parola è quasi scomparsa dal lessico in quanto «politicamente scorretta», più o meno come è capitato a «handicappato», sostituita prima da «disabile» e poi da «diversamente abile». C'è poi un terzo motivo, che vedremo. Senz'altro, che sia proprio Berlusconi a ripescare questa vecchia parola in via di estinzione ha un significato politico preciso. Lo capiremo meglio ripercorrendone la storia.
Nel medioevo burgensis indicava l'abitante di un centro urbano, ma fra il X e l'XI secolo passò a indicare la classe intermedia tra le masse contadine e i privilegiati della nobiltà e del clero: artigiani o mercanti che assunsero una posizione via via più importante con la crescita della ricchezza. In seguito divennero borghesi anche i piccoli proprietari terrieri affrancati dalla soggezione feudale. Nel Quattrocento, soprattutto in Italia, si era già formata un'«etica borghese» basata sul risparmio, l'industriosità e una vita familiare quieta e ordinata. Da allora la borghesia ha avuto fasi diverse nel tempo e nei luoghi, ma in definitiva è rimasta incardinata ai princìpi originari, sia dal punto di vista economico (un benessere superiore a quello delle classi popolari) sia da quello del comportamento, che oggi si direbbe moderato o conservatore.
Furono i princìpi e le istituzioni ereditate dalla Rivoluzione francese a preparare la vittoria delle borghesie nazionali in numerosi Stati europei e a favorire l'intenso sviluppo capitalistico dell'Ottocento: i regimi rappresentativi per censo, il concetto di proprietà sancito dal Codice napoleonico, l'uguaglianza giuridica, la libertà d'iniziativa. Non più omogenea quanto a ricchezza, la borghesia cominciò a essere suddivisa in «piccola», «media» e «alta». Quest'ultima, favorita dal progressivo sopravvento dell'industria sull'agricoltura, sottopose a un duro sfruttamento i ceti più bassi, ponendo le basi del conflitto di classe teorizzato da Karl Marx.
A cavallo fra l'Ottocento e il Novecento, il regime parlamentare liberale - espressione tipica dell'ascesa della borghesia - sotto la spinta dei conflitti sociali dovette aprire al suffragio universale e ai moderni partiti di massa, che misero in crisi la stessa idea di borghesia come classe dominante. La Prima guerra mondiale, che per la prima volta coinvolse popoli interi nella leva generalizzata, determinò la crisi delle ambizioni egemoniche della borghesia, sempre più spaventata dalla rivoluzione sovietica vincitrice in Russia.
In Italia la questione venne risolta dal fascismo, nato come reazione nazionalista al «pericolo rosso», ma che poi sviluppò al suo interno un'aspra polemica contro la borghesia, vista come uno stato d'animo moderato, prima ancora che come una classe sociale. Fin dal 1934 Mussolini dichiarò pubblicamente la sua ostilità allo «spirito borghese», inteso come spirito «di soddisfazione e di adattamento, tendenza allo scetticismo, al compromesso, alla vita comoda, al carrierismo»; nel 1941 sarebbe arrivato a una formula che egli stesso considerò «definitiva»: «Il borghese è quella persona che sta bene ed è vile». Nel frattempo era stata dichiarata una vera e propria guerra alla «vita comoda», con la conseguenza che i borghesi, fino a allora soddisfatti del regime, non capivano perché dovessero vivere scomodamente proprio quando potevano godersi gli agi e la sicurezza offerti dallo stesso fascismo.
La cultura di sinistra dominante nel dopoguerra ereditò dal fascismo la polemica contro la borghesia, negli stessi termini ma aggiungendovi il marchio d'infamia di sfruttatrice del popolo, di casta privilegiata e oziosa da abbattere. Lo slogan sessantottino «Fascisti-borghesi, ancora pochi mesi» è esemplare dell'identificazione fra borghesia e reazione. Nello stesso tempo, però, lo sviluppo economico, la mobilità sociale, il lavoro femminile, l'estensione dei sistemi previdenziali, la diffusione dell'istruzione universitaria, il faticoso progredire della meritocrazia, l'ascesa ai quadri intermedi delle maestranze operaie più qualificate hanno portato a una posizione «borghese» ampi strati dell'ex proletariato, sempre più coinvolti in un benessere e in un consumismo fino a allora tipicamente borghesi. D'altra parte la piccola borghesia si è sentita, a ragione, sempre più proletarizzata rispetto alla borghesia più elevata, trovandosi spesso schierata con le posizioni della sinistra.
La borghesia, insomma, ha assunto contorni sempre più indefiniti, e questo è il terzo motivo della caduta dell'uso del termine: la difficoltà, se non l'impossibilità, a definire oggi chi e cosa è «borghese». Se Berlusconi ha rilanciato il termine, certo non l'ha fatto a caso. Dal suo punto di vista, borghese corrisponde certamente a moderato, quindi a uno status politico, più che economico.
Giordano Bruno Guerri
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