L’orgoglio degli sfollati: «Ma quali tendopoli lager? Le vedono solo i disonesti»

nostro inviato all’Aquila

C’è un’Aquila che vola fiera e riconoscente da quando più di due mesi fa quel mostro di terremoto ha sbatacchiato l’Abruzzo, sbriciolando case come se fossero Wafer; e un’Aquila più arcigna, dal volto rapace, che fa planare proteste e rivendicazioni, prima davanti a Montecitorio e ieri proprio qui a Coppito. La prima è quella che con dignità e coraggio tira avanti nelle tante tendopoli allestite a tempo di record dalla Protezione civile. In quella di Coppito, in questi giorni forno a microonde e dormitorio per 400 e passa anime, ci si muove alla moviola per non dare troppo il fianco al caldo.
L’Aquila che non recrimina è il sorriso di un’anonima signora bionda che si dichiara «ex casalinga. Ora sono soltanto “linga” perché la casa non ce l’ho più». I suoi occhi dolci sono delle carezze per Michela, 17enne, volontaria arruolata nell’esercito della solidarietà. Scuola-tendopoli-tendopoli-scuola, come una silenziosa formichina. Lei, casa ad Avezzano, liceo a Tagliacozzo, lavora al campo senza mai far pesare niente. La signora esalta lei e gli altri «angeli dai pantaloni arancioni. Ci coccolano. Se non ci fossero loro». Sotto la tenda-fornace, divisa con marito e figli, ammette che «senza di loro non avremmo potuto fare nulla». Ha, o meglio aveva, casa a Pettino, classificata categoria E: danni strutturali. «Ci hanno assicurato che in autunno lasceremo le tende. Speriamo. Noi ci crediamo anche se abbiamo paura». Il timore è il generale inverno, in queste zone più spietato che mai. «Speriamo non ci freghi la burocrazia, qui in Italia da sempre una brutta bestia». La censura arriva invece su quell’Aquila che sbatte le ali della lagnanza: «Le bandiere di partito davanti alla Camera? Ma che c’entrano? Ma perché strumentalizzare le nostre paure? Perché la si butta sempre in politica?». Aperture di credito anche sul G8 qui a Coppito: «No, la sfilata dei grandi non ci dà fastidio, loro ci aiuteranno. L’importante è che dopo il summit il governo non ci dimentichi».
Massima accoglienza anche al campo di Pianola, spianata di tende blu da 550 ospiti. Il capo è Emilio Garau, partito dalla Sardegna come uno Speedy Gonzales l’alba dello scorso 6 aprile. L’Aquila che vede lui non sbatte le ali del reclamo, anzi: «Più di cinquanta sfollati, gente che ha perso la casa, parenti o amici, mi hanno chiesto di poter dare una mano qui, al campo». Una di queste è Giuliana, infermiera di Pianola, anche lei con l’appartamento sfregiato ma per fortuna non ferito a morte. «Potrei già dormirci ma non me la sento ancora, come tanti compaesani». Qui l’unico terrore è che il mostro si risvegli. «L’altra sera la terra ha tremato ancora e non ci si fida a passare la notte con del cemento sopra la testa». Il terremoto, però, ha scosso la brace che Giuliana aveva nell’anima appiccandole il fuoco della solidarietà: ora sta qui ad aiutare gli altri anche se potrebbe stare altrove. «Qui siamo una grande famiglia - si sfoga Garau -. E spiace leggere che i campi siano dei lager. Ma quali lager? I giornalisti onesti e corretti vengano pure a vedere come si vive qui».
Un’emergenza che sta calando, almeno nei numeri snocciolati da Bernardo De Bernardinis, vicecapo della Protezione civile: «Ad oggi abbiamo 23mila persone nei centri di accoglienza contro il picco di 37mila la settimana successiva al disastro. Molti campi sono chiusi e altri li stiamo chiudendo. Abbiamo già censito e verificato l’agibilità di oltre 55mila edifici e ogni giorno riattiviamo migliaia di impianti di luce e gas». E l’Aquila che volteggia senza gridare e lavora senza strillare. Poi c’è quella più aggressiva, braccata ieri dalla Digos.

Aveva il volto di tre persone, una delle quali di un consigliere comunale di Rifondazione, pronta a contestare il premier durante la conferenza stampa poi cancellata. Ma quella vera continua a volare più alto e ce la farà.

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